Coronavirus

Il contagio? Non è uguale per tutti. Pochi casi tra gli immigrati africani

L'epidemiologo Castelli: "Tra le spiegazioni l'età media bassa e la scarsa propensione a rivolgersi alle strutture sanitarie"

Il contagio? Non è uguale per tutti. Pochi casi tra gli immigrati africani

Può facilmente sorprendere che tra i contagiati dal Coronavirus non vi siano, almeno nelle diverse province della Lombardia, stranieri provenienti dall'Africa subsahariana o dal Maghreb. La conferma arriva direttamente dal direttore del dipartimento di Malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, che sottolinea: «Quello che francamente spero possa essere confermato anche a livello di ricerca è il fatto che verosimilmente c'è una diversa disponibilità e diverse caratteristiche dei recettori per il virus in alcune etnie, in alcune popolazioni, soprattutto di origine africana». E taglia corto: «Al momento non abbiamo persone di origine africana ricoverate nei nostri reparti».

Di pari passo con la bassa incidenza del Covid-19 sugli immigrati ospitati in Italia nei centri di accoglienza, va anche la valutazione dei numeri che incidono sul continente Africa. A oggi sono stati registrati 1.788 casi di contagio da Coronavirus e 58 vittime, mentre i paesi colpiti sono 43. Ieri si registravano 1463 di positivi al test e 46 vittime, esattamente nello stesso numero di paesi, come riporta Cdc Africa, ossia il Centro di controllo delle malattie dell'Unione africana. A conferma dei numeri esigui scende in campo anche l'epidemiologo Francesco Castelli, direttore del reparto di Malattie infettive degli Spedali Riuniti di Brescia e direttore della Scuola di specializzazione in Malattie Infettive presso l'università di Brescia che specifica altrettanto la minore incidenza nella popolazione straniera del territorio. Nel Bresciano si conta addirittura il 14 per cento di stranieri ma soltanto nei prossimi giorni si otterranno i dati sui tassi di incidenza per età ed etnia. «È un lavoro che stiamo facendo nei ritagli di tempo». Già, ora le priorità sono salvare il maggior numero di vite possibili.

Tuttavia il professore Castelli non si sottrae a una disamina di fattori che provvedono alla minore incidenza. «Ne possiamo catalogare almeno due: il primo è l'età media degli stranieri, di molto inferiore a quella della popolazione italiana. E infatti le forme cliniche a impatto più grave si hanno proprio nella popolazione adulta o addirittura anziana. Il secondo fattore è di carattere sociologico: di fronte a una stessa sintomatologia influenzale o comunque a una forma lieve come raffreddore o mal di gola difficilmente uno straniero si rivolge alla struttura sanitaria. Questa sarà una linea di ricerca interessante perché è cosa già nota che, sia per le malattie infettive che per quelle non infettive, si debbono tenere presenti le eventuali predisposizioni genetiche: la popolazione africana avrebbe una minore recettività al contagio. Tuttavia bisognerà anche valutare che la differenza tra gli italiani e gli stranieri si riduce quando questi ultimi sono in Italia da parecchio tempo».

E se è proprio questa la situazione nel Nord d'Italia non è diversa quella del Centro-Sud. Qui un numero esiguo di casi è stato conteggiato dagli operatori anche se parecchi sono risultati con una leggera sintomatologia (febbre bassa, raffreddore e tosse secca). Però, ciò che sta alla base dei controlli sanitari è proprio la scarsa propensione degli stranieri a recarsi in ospedale e soprattutto a lasciare le proprie generalità e reperibilità. Non si esclude che parecchi di costoro siano irregolari.

Ciò non toglie che il Servizio sanitario nazionale non fa di queste differenze e la cura viene garantita anche in casi di apolidia manifesta o mera situazione di clandestinità.

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