Conte bersaglio mobile: "Non vado al massacro Luigi si adegui alla Lega"

Ribaltati gli equilibri fra alleati. Il premier al M5s: "Mediate con Salvini o il governo cadrà"

Conte bersaglio mobile: "Non vado al massacro Luigi si adegui alla Lega"

Da questa mattina Giuseppe Conte è un premier con un gigantesco bersaglio disegnato sulla schiena. Il risultato uscito dalle urne, infatti, ribalta completamente i rapporti di forza tra le due leadership che guidano l'autoproclamato «governo del cambiamento». La Lega di Matteo Salvini stravince la tornata elettorale, il M5s di Luigi Di Maio è invece il grande sconfitto, ben oltre ogni più cupa previsione. I Cinque stelle vengono scavalcati dal Pd e sembrano destinati a finire sotto la soglia psicologica del 20%. Uno scenario che rischia seriamente di far esplodere tutte quelle contraddizioni e conflittualità che hanno caratterizzato gli ultimi mesi dell'esecutivo. Ne è ben consapevole lo stesso presidente del Consiglio, che ieri sera sul punto non ha avuto esitazioni. «Se Luigi non lavorerà a trovare dei compromessi con Salvini, se non saprà adeguarsi ai nuovi equilibri, non farà altro - confidava in privato ai suoi ieri notte - che dargli il pretesto per rompere. Io, per quanto mi riguarda, non ho alcuna intenzione di farmi massacrare».

È chiaro, infatti, che da oggi il governo diventa nei fatti a guida Salvini. E Di Maio non potrà più obiettare che il M5s ha la maggioranza in Consiglio dei ministri, dato ormai solo numerico ma di nessun peso politico. La Lega, infatti, presenterà subito il conto ai Cinque stelle sui tre dossier chiave per il Carroccio: flat tax, autonomia e, soprattutto, Tav. Tema su cui nelle prossime settimane Palazzo Chigi dovrà pronunciare una parola definitiva e su cui Salvini - forte anche della vittoria in Piemonte del candidato del centrodestra Alberto Cirio - non farà alcuno sconto. Starà a Di Maio - o più esattamente alla Casaleggio associati - decidere se e fino a che punto chinarsi alle richieste dell'alleato. Che, con ogni probabilità, spingerà il piede sull'acceleratore come mai ha fatto prima.

Salvini, è vero, sfondando il muro del 30% è il solo vincitore di queste elezioni. Allo stesso tempo, però, da oggi perdono di forza le sue obiezioni e le sue prudenze davanti alle perplessità di molti big del Carroccio che da mesi gli chiedono di mettere fine all'alleanza con il M5s e tornare alle urne. Forte del voto di ieri, o il vicepremier riesce a capitalizzare in termini di riforme oppure non avrà più alibi di fronte al pressing che gli arriva dal territorio (Veneto e Lombardia in particolare). Non è un caso che ieri a via Bellerio qualcuno lo invitasse a «non dimenticare che oggi le leadership sono evanescenti e durano non più di qualche anno». «Ricordati Matteo, Renzi è evaporato in due anni». Insomma, o si portano a casa subito flat tax, autonomia e Tav oppure è meglio tornare subito alle urne e dar vita ad una maggioranza di centrodestra. D'altra parte, stando alle proiezioni Forza Italia si assesta intorno al 9% e Fratelli d'Italia al 6. Tutta la coalizione, la cui leadership a questo punto è saldamente nelle mani di Salvini, si attesta quindi intorno al 45% (con Lega e FdI che accarezzano la tentazione di essere autonomi).

Il leader della Lega, è noto, non è troppo incline a riallacciare i rapporti con Forza Italia. Ma è pur vero che la prossima legge di Bilancio si annuncia lacrime e sangue e con un Europa che non sarà affatto accondiscendente. Per quanto siano andati male, infatti, i partiti filoeuropeisti continueranno a dare le carte a Bruxelles e non faranno sconti all'esecutivo Conte. Caricarsi una manovra da oltre 30 miliardi, dunque, potrebbe essere rischioso, soprattutto con un governo che naviga a vista.

Mentre altra cosa - ed è lo scenario a cui in Lega guarda chi teorizza un ritorno nel centrodestra - è affrontare una legge di bilancio così difficile all'inizio di una legislatura e con una prospettiva di cinque anni davanti. In quel caso, ovviamente, con Salvini che siederebbe a Palazzo Chigi.

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