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Conte cerca l'asse con Trump. Si tratta su Kabul, Irak e Libia

Oggi alla Casa Bianca: gli Usa chiederanno di non ritirare le truppe. Sul tavolo l'attivismo di Macron

Conte cerca l'asse con Trump. Si tratta su Kabul, Irak e Libia

Giuseppe e Donald ovvero cronache di un successo annunciato. Se volete capire perché l'incontro di oggi alla Casa Bianca tra il presidente statunitense e il nostro presidente del Consiglio non può che andar bene dimenticate Washington e guardate a Parigi e Bruxelles. Lì siedono Emmanuel Macron e gli euroburocrati: i peggiori avversari di Trump e del suo ospite. Dopo l'idillio scoccato durante un G7 in cui Conte era l'unico a non giocare contro la Casa Bianca i due devono ora disegnare una strategia comune. Lo scacchiere su cui punta l'Italia è quello libico. Su quel fronte il presidente francese non perde occasione per tentare di strapparci l'iniziativa. Conte deve dunque convincere Trump a confermarci nel ruolo di capofila delle iniziative per la stabilizzazione del paese e il contenimento dei flussi migratori.

Un obiettivo fondamentale per rintuzzare i piani di un Macron protagonista, a fine maggio, di un vertice parigino con il premier di Tripoli Fayez al Sarraj e il generale Khalifa Haftar in cui cercò di convincere i due antagonisti a portare il Paese alle urne entro l'anno. Un progetto folle per un Paese diviso tra due governi, ma funzionale a garantire una facile vittoria a un Haftar considerato il miglior alleato dell'Eliseo. Sempre sul fronte franco-africano Conte discuterà anche lo sblocco di una missione militare in Niger fondamentale per il contenimento dei flussi migratori verso la Libia, ma bloccata da una Francia poco incline a vederci all'opera in una ex colonia considerata zona di proprio esclusivo interesse.

La partita del nostro premier è però tutt'altro che facile. E non solo perché all'America di Trump frega poco della Libia, ma anche perché Donald, da buon uomo d'affari, esige sempre una contropartita. E la contropartita in questo caso ha le coordinate di Afghanistan e Irak, due nazioni dove il nostro Paese è, quanto a impegno militare, uno dei principali alleati degli Stati Uniti. Un alleato a cui Washington non è disposto a rinunciare. Anche perché gli sarebbe impossibile trovare qualcuno pronto a rimpiazzare i 900 militari italiani impegnati nell'addestramento dell'esercito afghano e il migliaio circa presenti in Irak. Soprattutto in un momento caratterizzato dalle offensive di talebani e Stato Islamico in Afghanistan e dall'instabilità di un Irak dove Moqtada Sadr, il leader sciita famoso per le sue posizioni anti-americane, ha vinto le elezioni della scorsa primavera. Dunque nel nome della Libia Conte rischia di dover mandare all'aria quel ridimensionamento dei contingenti afghano e iracheni già programmato dal governo Gentiloni e confermato dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta.

Ma ancor più a rischio sono i rapporti economici con un Iran di cui l'Italia è stata il secondo partner europeo dopo la Germania. Un ruolo che rischia di venir seriamente compromesso se Washington ci costringerà a seguire le politiche anti Teheran avviate dopo la cancellazione del trattato sul nucleare. Un altro punto su cui Conte sarà inevitabilmente costretto a una marcia indietro, almeno rispetto ai programmi dei Cinque Stelle, è l'arrivo sulle coste pugliesi di quel gasdotto Tap che Washington reputa fondamentale per ridurre la dipendenza energetica dell'Europa dalla Russia.

Certo in cambio Conte potrebbe ottenere

garanzie sull'abolizione delle sanzioni alla Russia di cui si è parlato molto dopo il vertice di Helsinki. Ma si tratterebbe di garanzie assai aleatorie visto che Trump deve prima convincere il resto della sua amministrazione.

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