Politica

"Resto...": Travaglio giustifica la ritirata di Conte

Giuseppe Conte dribbla di nuovo la candidatura, ma per certa stampa ha fatto bene altrimenti sarebbe stato "impallinato". L'allergia alla sfida per il consenso dell'ex avvocato degli italiani

"Resto...": Travaglio giustifica la ritirata di Conte

"Resto tra la gente": il virgolettato è di Giuseppe Conte, la pagina è de Il Fatto Quotidiano, mentre la motivazione lascia il tempo che trova. Il leader del MoVimento 5 Stelle ha deciso di non candidarsi per le elezioni suppletive al collegio di Roma 1. Il perché è lo stesso che Conte ha sbandierato per un'altra mancata candidatura: quella a Primavalle. Per carità: un politico può scegliere di candidarsi o meno, ma l'ex giallorosso e gialloverde sarebbe un leader partitico. Dunque il fatto che Conte dribbli in maniera scientifica qualunque competizione elettorale stona parecchio. Riavvolgiamo il nastro.

Erano i tempi del seggio lasciato libero da una grillina chiamata ad un incarico per l'Unione europea: Emanuela Del Re aveva, in modo indiretto, offerto al capo grillino una possibilità elettiva. Si diceva che Conte fosse pronto a correre. Un paio di ragionamenti e qualche calcolo hanno suggerito all'ex premier la ritirata. La motivazione dell'epoca? La necessità di dedicarsi al MoVimento 5 Stelle, che nel frattempo, tra diaspore, cali elettorali e crisi sondaggistiche, è ormai divenuto lo spettro di se stesso. Sono passati mesi ma siamo ancora a quel punto: Giuseppe Conte ha declinato perché deve dedicarsi anima e cuore alla formazione politica che guida e perché, altrimenti, - come specifica il giornale diretto da Marco Travaglio, citando un'altra dichiarazione contiana - finirebbe per fare il "deputato assenteista".

Per Il Fatto Quotidiano, Conte "ci aveva davvero riflettuto" ed "era quasi pronto a candidarsi". Ma poi - come giustamente notato - è arrivata la mossa di Carlo Calenda che ha deciso di metterci la faccia in funzione oppositiva. E l'ex "avvocato degli italiani" ha optato per un passo indietro. Il problema di Conte, a vederci chiaro, è uno ed uno soltanto: il consenso che non ha. Roma ha respinto al mittente l'offerta politica di Virginia Raggi, attribuendo, in specie nei quartieri centrali, un largo consenso alla proposta di Calenda. La maggior parte degli osservatori non crede che i romani abbiano cambiato idea sui pentastellati in appena un mese e mezzo. Così, la speranza che il Partito Democratico avrebbe voluto regalare al suo junior partner è durata il tempo di una mattinata o quasi: è bastato rendersi conto di quale fosse la realtà.

Ma Conte può contare sul fatto che certa stampa non lo inchiodi alle responsabilità di leader rimasto fuori dal Parlamento: "Preferisco restare tra la gente e riorganizzare il MoVimento", ha sottolineato. Una riorganizzazione che deve togliere davvero molto tempo all'ex presidente del Consiglio, considerato il numero delle volte in cui è stata citata per giustificare la mancata discesa in campo. Ma per Il Fatto Quotidiano Conte non è un coniglio che scappa: "...ha capito che lo aspettavano al varco per abbatterlo, con Carlo Calenda primo cacciatore nella sua riserva - si legge - , e con lui una folla di aiutanti, da Matteo Renzi a tanto centrodestra, e vai a fidarti di certi dem o perfino di qualche grillino". Insomma, l'avvocato originario di Volturara Appula ha fatto bene perché in molti erano pronti ad impallinarlo.

La giustificazione presentata però non regge: il centrodestra è avversario naturale di Conte, dunque è normale che la coalizione lavorasse, in caso, in senso contrario al trionfo grillino. Lo stesso discorso vale per Matteo Renzi e Carlo Calenda che hanno in più circostanze specificato di essere contrari a qualunque ipotesi di alleanza preveda populisti e sovranisti al suo interno. Il fatto che esistano dei franco-tiratori grillini, poi, certifica come Giuseppe Conte sia il leader sulla carta e poco più. Infine, che esistano alcuni Dem che preferirebbero altri schemi rispetto a quello imposto da Enrico Letta è tutto fuorché un mistero.

Tutto questo ha un nome: si chiama politica e Conte fa fatica ad averci a che fare. In caso di candidatura, l'ex premier si sarebbe confrontato con il consenso e con i suoi naturali competitor politico-elettorali. Sarebbe andato alla ricerca dei voti, come sempre avviene o dovrebbe avvenire in politica. Ha preferito evitare perché avrebbe perso.

Non è la prima volta che accade, ma per chi è più realista del re va bene lo stesso.

Commenti