Conte è sotto assedio: con la fase 2 l'unità nazionale non è più un tabù

Anche tra i dem c'è chi non lo esclude. Le riflessioni del Quirinale

Conte è sotto assedio: con la fase 2 l'unità nazionale non è più un tabù

Si scrive cabina di regia, si legge governo di unità nazionale. Non ancora declinato nel dettaglio, perché ognuno ha la sua ricetta e perché diverse sono le soluzioni sul tavolo. Ma quel che è certo è che ormai da giorni sta prendendo piede la convinzione che solo un esecutivo di salute pubblica allargato ad un pezzo corposo dell'attuale opposizione possa affrontare davvero la crisi economica che arriverà nei prossimi mesi. Il tema è oggetto di colloqui riservati e non. E incontra l'assenso persino di pezzi importanti del Pd e del M5s, i due partiti che sostengono Giuseppe Conte. Anche al Quirinale, racconta un ex parlamentare che ha buoni uffici presso il Colle, stanno iniziando a considerare un simile scenario che permetterebbe di uscire dall'impasse che in questi giorni ha di molto rallentato l'azione del governo. Non sono infatti passati inosservati i quattro giorni di scontro (di competenze e di potere) tra dem e grillini per arrivare finalmente ad un compromesso sul decreto liquidità. Come pure preoccupano il capo dello Stato le continue tensioni tra il premier e le opposizioni, sul piede di guerra sia a livello nazionale (con Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia che accusano Conte di non collaborare) che locale (con il braccio di ferro tra la regione Lombardia e Palazzo Chigi). Per non parlare dell'alto tasso di conflittualità registrato anche nel diversi confronti tra governo, imprese e parti sociali.

È del tutto evidente, infatti, che un equilibrio così precario - con le stesse istituzioni che remano in direzioni diametralmente opposte - è destinato a rompersi presto. Ecco perché persino dentro il Pd si ragiona sull'opportunità di continuare l'esperienza di governo con Conte. Perché è chiaro che se l'esecutivo resterà questo, sarà soprattutto sul partito di Nicola Zingaretti che ricadrà la responsabilità di una crisi economica che pare inevitabile. Non è un caso che Graziano Delrio, capogruppo dem alla Camera, o Antonio Misiani, viceministro dell'Economia, insistano da giorni sulla necessità di una cabina di regia «dove siedano imprese, sindacati, categorie, opposizione, amministratori e governo per condividere subito tempi e modalità della ripresa». Perché un'emergenza di queste dimensioni non può che essere affrontata tutti insieme. Invece, è la riflessione di un ministro di peso del Pd, «non solo ci stiamo caricando la responsabilità dei prossimi mesi che saranno drammatici, ma lo stiamo facendo non avendo neanche in mano il timone della nave». Perché a Palazzo Chigi c'è un premier che non solo non è del Pd, ma che si sta muovendo concertando solo lo stretto indispensabile con i partiti che lo sostengono.

D'altra parte, Conte sa bene che queste sono le settimane chiave per il suo destino. E in una sorta di stress test permanente sulla sua persona non manca occasione per mettere la faccia sulla crisi («la storia ci giudicherà», è uno dei suoi refrain). E' consapevole, il premier, che con l'avvicinarsi della cosiddetta «fase 2», quando si dovrà ragionare sul rimettere in moto il Paese e l'economia, chi teorizza la necessità di un governissimo farà le sue mosse. E proverà a costruire direttamente a Palazzo Chigi quella task force bipartisan di cui molti parlano. Magari, come auspicato da più parti, strizzando l'occhio a Mario Draghi.

Che, in chiave interna, potrebbe compattare buona parte dell'arco parlamentare e, in chiave esterna, avrebbe certamente molto più peso di Conte nel trattare con l'Ue gli aiuti necessari. Una trattativa - quella per vincere le resistenze di Germania e Olanda - destinata a durare ancora per molti mesi.

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