Quasi sette mesi di governo gialloverde: cento promesse fatte, appena sedici mantenute. È diventato legge, pubblicato in Gazzetta ufficiale, il sedici per cento dei proclami fatti attraverso il contratto di governo e dichiarazioni roboanti in campagna elettorale. Ha mantenuto più Salvini rispetto a Di Maio, ma la cifra è sempre bassa: 31% di «fatto» per il leader della Lega, 17% per quello del Movimento Cinque Stelle.
È il risultato del monitoraggio dell'Osservatorio indipendente Checkpoint, che verifica l'andamento del programma di governo. Otto giovani tra studenti e neolaureati da cinque mesi spulciano i provvedimenti e bollano lo stato di avanzamento di quanto scritto nel contratto gialloverde e non solo. Non si tiene conto, per ora, di quanto scritto nella legge di bilancio in approvazione al Senato, perché, spiega uno dei fondatori, Marco Interdonato, «le nostre statistiche si basano solo su ciò che è divenuto legge, e dunque anche per le misure nella manovra aspettiamo i decreti specifici. Per esempio, reddito di cittadinanza e quota cento per noi non sono ancora classificabili come promesse mantenute, ma che si avviano a esserlo». Per le due misure bandiera si attendono i provvedimenti a gennaio.
E se ieri Di Maio ha rivendicato che «abbiamo fatto delle promesse e ora le stiamo mantenendo», ce ne sono molte, scritte nel contratto, che sono cadute nel dimenticatoio. Alcune clamorose. E in questo capitolo è Salvini a essere più deficitario di Di Maio. Su tutte la flat tax della Lega, che doveva partire da subito per le imprese e dal 2019 per le famiglie. Alla fine si è tramutata in un allargamento del regime forfettario per le partite Iva: «Nella legge di bilancio la tassa piatta per le famiglie non c'è». Poi ci sono le accise sui carburanti: «Salvini aveva dato una scadenza precisa: il 5 marzo. Invece non sono state tolte». E ci sono le partecipate: nessuna accelerazione del piano che fu di Carlo Cottarelli. Anzi. La legge di bilancio concede un rinvio della dismissione delle società che siano state in utile nell'ultimo triennio.
Si è anche persa traccia di uno dei punti più cari al M5s in campagna elettorale, tanto da meritare un sito web ad hoc: leggidabolire.it. Erano almeno 400 quelle che Di Maio aveva annunciato di voler tagliare una volta al governo. La sforbiciata sembra essere svanita nel nulla, insieme al dominio web: «Abbiamo notato che ora il sito non esiste più». Ci sono poi anche annunci muscolari come il veto sul bilancio dell'Unione Europea nel caso della nave Diciotti. La minaccia di Di Maio era di non pagare la quota italiana senza una redistribuzione Ue di migranti: «Invece è stata pagata regolarmente», spiega CheckPoint. Altra questione abbandonata a dispetto del contratto è lo stop delle sanzioni alla Russia: «Invece sono state votate anche dall'Italia in consiglio d'Europa».
Ci sono anche promesse mantenute anche se solo parzialmente, per ora. È il caso del taglio alle pensioni d'oro. «Di Maio aveva sempre parlato di abolizione - ricorda Interdonato - Invece qui c'è un contribuito di solidarietà per cinque anni».
Andiamo alla lista di ciò che è stato mantenuto dai due leader: tra i «fatto» di Di Maio ci sono le penalizzazioni per chi delocalizza, il divieto di pubblicità del giorno d'azzardo, la
reintroduzione della cassa integrazione per cessazione e incentivi per l'assunzione di under 35. Tra quello di Salvini ci sono la donazione di motovedette alla Libia, lo stop all'asilo per chi compie reati, porti chiusi alle Ong.
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