La coppia di ebrei che detta la linea del viaggio

Kushner, marito di Ivanka, e l'ortodosso Greenblatt insieme per preparare la mediazione

Kushner e Greenblatt, registi del viaggio di Trump in Israele
Kushner e Greenblatt, registi del viaggio di Trump in Israele

Nell'universo di Trump nulla si muove senza un sì di Jared Kushner.

Il primo genero, passato da gradevole soprammobile a eminenza grigia grazie a Ivanka, figlia predilettissima del presidente, decide su tutto. Lei ha convinto papà a fidarsi di lui, ad ascoltarlo, a seguirlo. Sono uguali in fondo Donald e Jared, e ad accomunarli c'è questa grande, smisurata passione per il denaro, il potere. Ma Jared, stella più brillante nell'universo Trump, si muove in modo felpato, calcolato, uomo di mondo, si affida a messaggi scritti, lontanissimo da lui eccessi e improvvisazione tipiche del consuocero. Perfettamente in sintonia, due lati di una stessa medaglia e Ivanka in mezzo, a suggellare l'affare. Certo, c'è la questione Russiagate che incombe sulla testa del primo genero. La notizia bomba del Washington Post, secondo cui gli inquirenti avrebbero individuato un alto funzionario della Casa Bianca come «persona di interesse» nell'indagine dell'Fbi, ha scatenato una ridda di voci sul fatto che si tratti proprio di Kushner. Educato in un'esclusiva scuola ebraica di Paramus, nel New Jersey, all'inizio è servito a Trump per accedere al mondo ebraico. Quando si sono sposati Ivanka si è convertita all'ebraismo sigillando così un patto familiare con un mondo che sarebbe stato difficilmente accessibile per Donald.

Ecco perché il presidente lo ha scelto per la delicatissima questione ebraica. A lui l'incarico di «preparare il grande accordo di pace tra Israele e palestinesi». E così, in questo viaggio a Gerusalemme, flash puntati sul «big genero». Al suo fianco c'è Jason Greenblatt, ebreo ortodosso, che per molti anni fu l'avvocato d'affari della ditta Trump, poi il presidente lo nominò consigliere speciale per i rapporti con Israele. Greenblatt non ha mai fatto mistero di essere a favore di una soluzione definitiva basata sull'esistenza di due Stati, Israele e Palestina, ma che questa opzione deve essere raggiunta attraverso un negoziato tra le parti e non imposta dall'Onu o da altri interlocutori esterni. Gli insediamenti non sono un ostacolo alla pace, dice, e starebbe organizzando incontri a Ramallah. Eccoli allora insieme, sorrisi smaglianti e sintonia perfetta. Insieme dettano la rotta di questo viaggio, a loro le mappe e la scelta della direzione da prendere, tappa fondamentale questa in cui Trump incontra sia Benjamin Netanyahu sia il capo dell'autorità palestinese Mahmoud Abbas.

In questo viaggio, in bilico tra grandi prove di diplomazia, è difficile non indispettire nessuno. Eppure già qualche mossa ha lasciato l'amaro in bocca agli israeliani. A partire da quella fornitura di armamenti ai sauditi per 110 miliardi che non è proprio piaciuta.

L'Arabia Saudita è un alleato storico degli Stati Uniti, ma è anche uno dei massimi sostenitori dei palestinesi che dopo l'incontro di Abbas alla Casa Bianca - hanno diffuso l'aspettativa che il presidente americano a Gerusalemme rilancerà i negoziati di pace con l'obiettivo di arrivare a un accordo entro un anno. Audace. Kushner e Greenblatt sono al lavoro.

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