Milano - Il fuori si vede: Fabrizio Corona è rimasto un bel ragazzo; è segnato, perché il carcere segna tutti, e due anni a Opera non sono una vacanza; ma l'uomo alto e moro che le guardie trascinano via nel cortile del tribunale, mentre fan e fotografi urlano il suo nome, è apparentemente lo stesso Corona che regnava con piglio da ras sulle notti milanesi e sulle legioni dei paparazzi. Invece il dentro non si vede: come è cambiato Corona, cosa è rimasto del ragazzo arrogante e insofferente delle regole, pallottole e soldi falsi, conti truccati e mercato sottobanco delle foto da fare sparire dalla circolazione? Il detenuto che oggi dice «sto male, ho seri problemi psicologici e vi chiedo di darmi un'opportunità», e chiede per questo di uscire dal carcere, è un uomo nuovo o è lo stesso furbo guascone che ne combinava di tutti i colori, e che scappò in Portogallo per sottrarsi all'arresto?
É una decisione difficile, quella che dovranno prendere entro i prossimi cinque giorni i giudici del tribunale di sorveglianza di Milano, dopo l'udienza di ieri. Per decidere se Corona abbia il diritto di venire mandato in comunità, dovranno tenere conto della perizia del medico di parte, che dice che gli psicofarmaci del carcere non bastano più a tenere a bada gli attacchi di panico del detenuto. Ma dovranno calare il «caso Corona» nella realtà quotidiana del carcere, dove depressione e Prozac toccano a tanti, e non tutti chiedono di andare a casa, e ben pochi lo ottengono. E infatti ieri il procuratore generale Giulio Benedetti quando il tribunale gli chiede il suo parere sull'istanza risponde con una parola sola: «Contrario».
«Sindrome narcisistica border line», definisce lo stato di Corona lo psichiatra che lo ha visitato: e sarebbe impietoso sostenere che qualche sintomo di narcisismo il giovanotto lo dava anche prima di finire in galera. A molti quel personaggio patinato e irruente provocava fastidio e probabilmente invidia, altri ne erano affascinati, e la riprova è la piccola folla di sostenitori che rubando il tempo agli studi e al lavoro ieri si radunano in tribunale a fare il tifo per lui, «forza Fabrizio, non mollare». Ma ciò che si scorge con nettezza, a margine dell'udienza a porte chiuse, è che il vero tema sul tappeto non è lo stato di salute mentale di Corona, ma l'ingiustizia della sua condanna, la vistosa sproporzione tra i reati commessi e la pena inflitta che fa dire ai legali del detenuto, Ivano Chiesa e Antonella Calcaterra, con paragone di indubbia efficacia, «ha preso quasi come Alberto Stasi». Non ha ammazzato nessuno, non ha rovinato nessuno, ma se non ci saranno novità uscirà dal carcere nel 2019.
Come Corona sia arrivato a accumulare anni su anni di galera a forza di piccoli reati, è noto. Sono stati processi regolari, confermati in tre gradi di giudizio anche quando - come nel caso della presunta estorsione allo juventino David Trezeguet - la pena inflitta appariva vistosamente fuori misura. Di fatto, le conseguenze dei suoi errori hanno inghiottito Corona un po' per volta. Ma adesso è tardi per tirarsene fuori, e i giudici del tribunale di sorveglianza non possono usare l'alibi della sofferenza psichica per mitigare sentenze troppo dure, ma ormai definitive.
I difensori di Corona lo sanno, e per questo tornano a battere sul tasto della grazia da parte del presidente della Repubblica, già chiesta a Napolitano e destinata a venire ripresentata al futuro inquilino del Quirinale.
Sanno anche che una grazia totale sarebbe impensabile, perché tra i reati di Corona ce ne sono alcuni - dalla bancarotta al porto di pallottole alla corruzione - di cui è impossibile negare la gravità sociale. Così l'obiettivo è che il capo dello Stato dichiari espiata la pena per estorsione a Trezeguet, l'unica che impedisce a Corona di chiedere alcuni benefici carcerari. Se non libero, potrebbe diventare almeno semilibero.
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