La corsa al relitto è aperta. E i russi sono i primi ad ammetterlo. «Cercheremo di recuperarlo. Non so se ne saremo capaci, ma dobbiamo provarci», ha detto ieri il segretario del Consiglio per la sicurezza nazionale Nikolai Patrushev. Ma mettere le mani su quanto resta del drone americano Reaper Mq 9 intercettato mercoledì da un caccia russo Su 27 e inabissatosi nelle acque del Mar Nero potrebbe risultare assai complesso. Sia per Washington, sia per Mosca.
Il velivolo si è disintegrato nell'impatto con il mare e recuperarne i frammenti, a oltre ottanta metri di profondità, richiederebbe operazioni complicate e rischiose capaci d'innescare un'ulteriore escalation. Il gioco potrebbe dunque non valer la candela. I russi, del resto, hanno già all'attivo le carcasse di due Reaper MQ9. Il primo, meno aggiornato tecnologicamente, apparteneva all'aviazione italiana e venne abbattuto vicino a Tahruna, in Libia, nel novembre del 2020 dalle forze del generale Haftar appoggiate dai mercenari russi della Wagner. Il 23 agosto scorso i «musicisti» della Wagner fecero il bis colpendo con un antiaerea Pantsir un Reaper mandato ad osservare le loro posizioni nella zona di Al Maqhza, alle porte di Bengasi. Dunque i russi hanno già messo le mani su alcune tecnologie «top secret» utilizzate dal Reaper. Anche per questo Washington potrebbe esser meno interessata a recuperarne i resti. Inoltre - stando alla Cnn - il pilota e l'assistente di volo - ai comandi del Reaper da una postazione in territorio statunitense - sarebbero riusciti a cancellarne il software prima dello schianto in mare. L'assenza del sofisticato software rende, probabilmente, ancor più superflui i rischi di un recupero condotto a poche miglia dal porto di Sebastopoli, ovvero proprio davanti al quartier generale della Marina Russa nel Mar Nero su cui il Reaper teneva puntati i suoi obbiettivi. Grazie alla capacità di restare in volo per circa 24 ore toccando quote vicine ai 15mila metri e mantenendo una velocità di 300 chilometri orari questo drone di 11 metri, con un apertura alare di 25, è diventato, nell'ultimo decennio, il protagonista indiscusso dello spionaggio aereo. La sua capacità di sorvolare per ore un obbiettivo gli permette di seguire la routine quotidiana del nemico registrandone nel dettaglio le abitudini. I 16 missili Hellfire di cui è dotata la versione d'attacco al suolo, diversa da quella da ricognizione andata perduta mercoledì, gli garantiscono, inoltre, la stessa potenza di fuoco di un elicottero Apache.
Non a caso la flotta di 366 Reaper MQ 9 statunitensi ha al proprio attivo migliaia di operazioni tra Pakistan, Afghanistan, Somalia e Yemen nel corso delle quali sono stati eliminati centinaia di militanti inseriti nelle liste nere del terrorismo internazionale. In servizio con l'US Air Force dal 2017, quando sostituì il Predator, il Reaper è stato adottato anche dall'aviazione italiana che nel 2019 ne ha acquistato sei esemplari al prezzo di 30 milioni di dollari l'uno.
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