Milano Dall'inciampo imprevisto, al problemaccio, alla catastrofe. Sta in questo ventaglio di ipotesi lo scenario in cui la Procura di Milano si è resa conto di trovarsi ieri, quando al quarto piano sono arrivate le notizie della notte da Roma, con l'annullamento da parte della Cassazione delle condanne di Emilio Fede e Nicole Minetti per il caso Ruby. Si dovrà tenere un nuovo processo d'appello, stabilisce la Cassazione. Una sentenza tanto inattesa quando urticante. Per la seconda volta, l'impianto accusatorio del processo più importante (politicamente, mediaticamente e come impegno di risorse) condotto dalla procura arriva all'esame della Cassazione: e per la seconda volta l'impianto accusatorio ne esce bocciato. Prima l'assoluzione definitiva di Silvio Berlusconi, adesso l'annullamento delle condanne dei suoi coimputati. Per capire quanto grande sia realmente la sconfessione della Procura, bisognerà leggere come i giudici romani spiegheranno la decisione. E infatti «aspettiamo le motivazioni» è il mantra che si ripete nei corridoi dell'ufficio giudiziario. «Se la Cassazione avesse considerato Fede e la Minetti innocenti, avrebbe annullato tutto senza ordinare un nuovo processo», aggiunge qualcuno. Insomma, poteva andare peggio. Però nessuno si nasconde che la situazione è sgradevole. Di mezzo non ci sono solo l'ex direttore del Tg4 e l'ex consigliera regionale, che della vicenda erano dei comprimari. Il caso Ruby ruotava di fatto su Berlusconi. E la rilettura della Cassazione rischia di investire la solidità dell'indagine che investì l'allora premier.
Il dispositivo depositato alle 23 di martedì sera dai giudici romani non offre indizi cui appigliarsi per fare ipotesi. Non si dice quali dei diversi argomenti delle difese siano stati accolti. Per la Procura l'ipotesi migliore sarebbe che la Cassazione avesse solo aperto la porta alla concessione delle attenuanti. Ma il guaio vero sarebbe se fosse stata accolta la tesi principale dei difensori: Fede e la Minetti non hanno indotto né favorito la prostituzione perché ad Arcore non si prostituiva nessuno, quanto accadeva al termine delle cene non era più illegale di ciò che avviene in qualunque bar di lapdance . E se anche qualcuno alla fine si fermava col padrone di casa, questo era figlio della libera scelta di persone adulte. Opzione intermedia: i giudici potrebbero avere ritenuto che il «contesto prostitutivo» di cui da sempre parla la Procura fosse reale, ma che non sia stato dimostrato un contributo concreto e indispensabile di Fede e della Minetti.
Certo, la sentenza di martedì sera non incide sull'ultimo cascame del caso Ruby, l'inchiesta per corruzione giudiziaria aperta contro Berlusconi e i testimoni che in aula l'hanno scagionato. Ma se davvero la Cassazione scrivesse che Arcore non era il lupanare descritto dalla Procura, anche il nuovo troncone ne uscirebbe depotenziato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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