Coronavirus

Così il fanatismo buonista alimenta la diffusione dei contagi

Così il fanatismo buonista  alimenta la diffusione dei contagi

«Cos'è più importante, il pericolo Coronavirus o la vita delle persone che muoiono nel Mediterraneo? Io non ho dubbi. Quando mi sono imbarcata sapevo quali rischi stessimo correndo, ma la volontà di salvare chi, pandemia o non pandemia, sale sui gommoni per fuggire da torture e dalla guerra, era prevalente». Non sappiamo se alla dottoressa Caterina Ciufegni risulti chiara l'immane sproporzione di quanto dichiarato a Repubblica. Da italiani saremmo più felici se le parole di quell'intervista fossero solo un malinteso. Ma temiamo che la connazionale imbarcata come medico sull'Alan Kurdi, la nave della Ong tedesca Sea Watch, intendesse proprio quello. L'illogica sprovvedutezza di chi considera preminente la tragedia dei 134 migranti scomparsi dal primo gennaio nel canale di Sicilia rispetto ai ventimila morti registrati in soli due mesi in Italia è infatti perfettamente in linea con la lucida e delirante follia dell'organizzazione per cui lavora. Un'organizzazione convinta di poter sbarcare un carico di 150 migranti nei nostri porti mentre nel Paese infuria una pandemia che tiene bloccati in casa 60 milioni di italiani e rischia di compromettere il futuro della nazione. Un'organizzazione che - come racconta nel suo fanatico e devastante candore la dottoressa Ciufegni - ha lasciato il porto di Valencia proprio mentre in Spagna montava quell'epidemia che ad oggi ha falcidiato più di 17mila vite. Ovviamente senza sentire il bisogno di voltarsi a dare una mano. E infatti nelle parole, tanto lucide quanto disarmanti, del medico non c'è alcun dolore, alcuna compassione, alcuna compartecipazione per le vite di quei 17mila spagnoli abbandonati al proprio destino o dei 20mila suoi connazionali uccisi dallo stesso virus. Ma non c'è nulla di cui stupirsi. Per la dottoressa Ciufegni come per tutti gli esagitati e faziosi umanitaristi delle Ong quei morti sono troppo normali, troppo banali, per esser degni di assistenza e compassione. Non hanno valenza politica. Non servono a sgretolare la sovranità di alcuna nazione. Non contribuiscono a far cadere alcun ministro. Dunque non portando acqua a nessuna delle cause tanto care agli irriducibili dell'accoglienza diventano trascurabili e irrilevanti. La dottoressa di Sea Watch non fa nulla per negarlo. Ammette di aver pensato di «dare una mano negli ospedali lombardi alle prese col virus», ma di aver alla fine preferito la militanza buonista a bordo della Alan Kurdi. Quell'ammissione conferma, purtroppo, quanto visto in queste settimane sui fronti della pandemia lombarda. Settimane in cui abbiamo incontrato migliaia di medici, infermieri e semplici cittadini italiani pronti a sacrificare la propria vita per i connazionali, ma non uno dei tanti militanti di quel fanatismo umanitarista che da anni ci impartisce arroganti e presuntuose lezioni di bontà e di spirito di sacrificio. A parte «Emergency» e «Medici senza Frontiere» a combattere il Covid non si sono presentati né i capi-missione in stile Luca Casarini, né capitani di ventura come Carola Rackete, né medici come la dottoressa Ciufegni. E questo basta per dare la misura della loro presunta generosità.

Ma anche per dire che l'Italia di gente così fa volentieri a meno.

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