Così i fustigatori del falso in bilancio truccavano i conti

Era la parola chiave dell'antiberlusconismo. Il falso in bilancio era la frontiera delle legalità, l'attivissima trincea del centrosinistra in guerra per fermare le presunte malefatte del Cavaliere. Un tormentone andato avanti per anni, in parlamento e sulle prime pagine dei giornali. Ora si scopre che lo stesso centrosinistra, salito sulle barricate per difendere la legge dagli assalti di Forza (...)

(...) Italia, avrebbe fatto scempio della norma. O meglio, come spiega una documentata inchiesta di Repubblica , molte regioni italiane hanno allegramente truccato i bilanci.

Il quadro, frutto del lavoro certosino della Corte dei conti, certifica una situazione disastrosa. L'elenco delle inadempienze e degli artifici è semplicemente chilometrico. Da Nord a Sud viene allo scoperto un'Italia fuorilegge, un'Italia che non ha alcuna idea di cosa sia una gestione corretta dei propri budget. Vengono i brividi a leggere le osservazioni dei magistrati contabili che scattano una foto impietosa di gruppo: ecco il Friuli-Venezia Giulia, dall'aprile 2013 nelle mani della renzianissima Debora Serracchiani. Oppure la Liguria da sempre rossa e oggi guidata da Claudio Burlando. In realtà i bilanci elastici sono la regola un po' ovunque: dalla Campania alla Sicilia fino all'Umbria, alla Calabria e alla Provincia autonoma di Bolzano, in una sorta di Far West contabile che lascia interdetti. Nella lista dei cattivi finisce quasi un governatore su due. A salvarsi, fra gli altri, c'è la Lombardia di Roberto Formigoni, pure assediato dalla magistratura e dai reportage della grande stampa. Il Celeste esulta su Twitter : «La Corte dei conti accusa tutte le regioni, ma non la Lombardia. Chissà chi l'ha governata?».

In effetti la radiografia fa a pezzi un modello apparente di buongoverno targato sinistra. E svela le contraddizioni sul campo di un'intera classe dirigente. Per anni si è sostenuto che la sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio operata dal governo Berlusconi fosse un regalo del premier a se stesso. Un colpo di spugna sulle proprie responsabilità, di fatto una delle tante leggi ad personam . Oggi, dopo polemiche furibonde e campagne di stampa altrettanto feroci, viene fuori che il ceto politico regionale ballava e balla pericolosamente sulle norme per cui era sceso in piazza.

Prendiamo il Friuli-Venezia Giulia dell'emergente Pd Debora Serracchiani. La Corte scrive che la Regione ha 2.800 dipendenti, ma altri 1.700 lavorano per la stessa Regione, fuori bilancio «in un sistema satellitare composto da enti, agenzie, aziende, società, enti funzionali», Una specie di esternalizzazione che sfugge ai parametri virtuosi richiamati dalla Corte. Qualcosa di analogo emerge in Liguria, il regno di Claudio Burlando. La Corte, che può finalmente mettere il naso nei bilanci grazie a una norma dell'ottobre 2012, nega addirittura il timbro ad alcuni capitoli del bilancio giudicandoli irricevibili: così i 91 milioni di «residui attivi» (crediti presunti ma in realtà inesigibili) su 103 di cessioni di immobili. Sempre in Liguria emerge un'altra voce, ben oltre i limiti della decenza e delle vergogna: il bonus, fino al 20% della paga, concesso ai dirigenti delle aziende sanitarie. Nessun raggiro contabile, ma quella che la corte definisce «una stortura»: gli obiettivi 2013, in pieno clima di crisi e spending review , sono stati incredibilmente fissati a un mese dalla fine dell'anno e non all'inizio come si fa in tutte le aziende del mondo. E dunque sono stati tarati in modo sfacciato sui risultati fin lì ottenuti.

Peraltro in una logica perfettamente bipartisan, la Corte dei conti nota che la Regione Calabria, amministrata dal centrodestra di Giuseppe Scopelliti per 4 anni, dal 2010 all'aprile scorso, «non è oggettivamente nelle condizioni di

conoscere le proprie disponibilità di cassa vincolata dell'anno...». Voragini drammatiche, da Nord a Sud, a destra come a sinistra. Ma per la sinistra anche una clamorosa sconfessione di dieci anni di marketing giudiziario.

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