Così Di Maio favorisce il precariato

Con i nuovi "minimi" partite Iva privilegiate sui contratti stabili

Così Di Maio favorisce il precariato

Roma - O disoccupati o precari. Con il governo del cambiamento non c'è alternativa per il mondo del lavoro e delle professioni in quanto anche le misure positive come l'estensione del regime dei minimi al 15% alle partite Iva con fatturato sotto i 65mila euro nel 2019 (dal 2020 sarà introdotta un'aliquota del 20% tra i 65.001 euro e i 100.000) produrrà effetti distorsivi sul mercato.

L'inquadramento di un rapporto di lavoro nella forma di «autonomo con partita IVA», sottolinea l'ex viceministro dell'Economia Enrico Zanetti in un contributo pubblicato sulla rivista digitale Eutekne, diventerà estremamente conveniente per tutti i lavoratori con remunerazioni lorde annue comprese tra 35.000 e 80.000 euro rispetto a quello di dipendente o collaboratore parasubordinato. Il guadagno è di circa il 30% di maggiore reddito disponibile, dopo aver scontato Irpef, addizionali e contributi previdenziali a carico del lavoratore. Risparmi minori interessano pure le fasce 15.000-35.000 euro e 80.000-100.000 euro.

Zanetti ha considerato l'esempio di un rapporto di lavoro per il quale la remunerazione lorda annua sarebbe di 45.000 euro. Un inquadramento di lavoro dipendente (a tempo determinato o indeterminato) costerebbe al datore di lavoro 59.346 euro al lordo degli oneri contributivi a proprio carico, mentre il netto percepito dal lavoratore (scomputati gli oneri contributivi a proprio carico, l'Irpef e le addizionali) sarebbe di 28.453 euro. Se l'inquadramento fosse di lavoro autonomo, il datore di lavoro potrebbe sostenere il medesimo costo di 59.346 sotto forma di compenso fatturato dal lavoratore autonomo, il quale, scomputati i contributi previdenziali a proprio carico dovuti alla Gestione separata Inps (25,72%) e applicata sul reddito imponibile la flat tax del 15% sostitutiva di Irpef, addizionali e Irap, percepirebbe un reddito netto disponibile di 38.925 euro, superiore di 10.471 euro (+36,8%) a parità di costo per il datore di lavoro.

Occorre considerare che si tratta di un esempio puramente teorico perché, a parità di reddito erogato, il datore di lavoro risparmierebbe i contributi previdenziali che la partita Iva dovrebbe versare invece in proprio. Ecco perché la legge di Bilancio vieta espressamente il cambio di inquadramento per quei lavoratori che nei due anni precedenti hanno svolto essenzialmente mansioni di lavoro dipendente nei confronti di quel datore verso il quale saranno erogate le prestazioni della «nuova» partita Iva.

Ne consegue, però, che per i nuovi rapporti di lavoro l'anno prossimo e pure nel 2020 potrebbe essere più conveniente adottare il regime partita Iva (sia per il datore di lavoro che per il lavoratore).

C'è, però, un caveat: le maglie strette del Jobs act contro le subordinazioni mascherate. Il risultato sarà comunque una maggiore precarizzazione dei rapporti di lavoro (la partita Iva non si licenzia perché il rapporto si può terminare abbastanza liberamente). Magie del governo del cambiamento.

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