
Oggi saranno passati 33 anni dalla domenica di luglio cui Eddie Cosina, agente di polizia, si offrì di sostituire un collega nel turno di scorta a Paolo Borsellino; 33 anni dalla mattina in cui Tiziana, sorella dell'agente Fabio Li Muli, uscì di casa sorridendo, lasciandolo ancora addormentato, e non l'avrebbe mai più rivisto. Entrambi, Cosina e Li Muli, erano con Borsellino alle 16,58 in via d'Amelio, a Palermo, mentre il magistrato citofonava a sua madre. L'esplosione della 126 carica di tritolo distrusse le loro vite, insieme a quella dei loro colleghi Agostino Catalano, Claudio Traina e Emanuela Loi e di Borsellino. Dopo la strage di Capaci del 23 maggio, Cosa Nostra aveva chiuso i conti con il giudice che più da vicino insidiava il suo potere e i suoi segreti.
A ognuno degli otto poliziotti morti nelle due stragi la Rai ha dedicato un documentario. Stasera in prima serata su Rai 3 e su Raiplay vanno in onda le puntate che raccontano chi erano Cosina e Li Muli, con le voci di chi li aveva conosciuti da vicino: Cosina, quello arrivato da più lontano, nato in Australia e cresciuto a Trieste; e il più giovane di tutti, Li Muli, ventidue anni appena. "L'ultimo ricordo che ho di lui, molto bello, è lui che dormiva serenamente - racconta Tiziana Li Muli - così andai al mare e rimasi fuori a pranzo fino a quell'orario, intorno alle 5 in cui sentimmo tutti questo boato tremendo, fortissimo, Palermo tremò in quel momento, e tutti dopo quello che era successo al giudice Falcone capimmo che era successo qualcosa di veramente grave".
Non è un anniversario come gli altri, per la strage di via d'Amelio. Per la prima volta, dopo tutti questi anni, una nuova indagine apre la possibilità di capire davvero perché Cosa Nostra aveva condannato a morte Borsellino, e soprattutto perché la preparazione dell'attentato venne accelerata dopo l'uccisione di Falcone. L'inchiesta della procura di Caltanissetta sta chiamando in causa i colleghi di Borsellino, a partire dal procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone, e il pm Gioacchino Natoli, accusati di avere insabbiato il rapporto dei Ros che scavava sui rapporti tra la mafia e le grandi aziende del nord. Borsellino, dice questa ipotesi, era rimasto l'unico a credere che il rapporto dei Ros non dovesse finire in un cassetto, e fu questo a renderlo una vittima predestinata. Di recente, a rendere tutto più inquietante, si è aggiunto un altro scenario ipotizzato dai pm: a venire insabbiate sarebbero stati proprio i filoni che nelle indagini sulla strage di via d'Amelio portavano verso il dossier "Mafia e appalti", ed il responsabile di questa scelta sarebbe stato Giovanni Tinebra, allora procuratore di Caltanissetta, massone di una loggia coperta.
Ma dei veleni, delle ignavie, delle complicità che all'interno della magistratura avevano isolato Falcone e Borsellino gli agenti che li proteggevano nulla sapevano. Per loro, i due magistrati erano semplicemente due eroi della lotta alla mafia, affidati alla loro custodia, e da proteggere: a rischio della vita.