Craxi, il leader dimenticato che voleva un'Italia globale

Un saggio a più mani per ripensare un politico, travolto da Tangentopoli, che aveva una visione lungimirante

Craxi, il leader dimenticato che voleva un'Italia globale

La figura di Craxi è rimasta sinora ostaggio della polemica politica che ha individuato in lui l'icona prediletta per etichettare e combattere tutti i mali della politica italiana odierna. Il segretario del Psi è stato additato, di volta in volta, come l'emblema della dilagante corruzione partitocratica della Prima Repubblica, del diffondersi negli anni della «Milano da bere» dell'individualismo, dell'edonismo e del consumismo, del degrado morale della classe politica e dei partiti, della commistione perversa di politica, impresa e finanza, per non dire della personalizzazione della politica e della sua deriva leaderistica e autoritaria in atto. Talora si è andati ancor più per le spicce.

Al leader socialista si sono ricondotti un po' tutti insieme questi vizi che a partire dagli anni Ottanta avrebbero fatto tralignare la Repubblica italiana in una democrazia a rischio, o meglio: di una democrazia a perdere. Raramente il politico Craxi è diventato materia su cui si sia seriamente esercitata la riflessione storiografica con quello spirito di comprensione del passato che, se non si deve tradurre in una sua piatta giustificazione, non può nemmeno risolversi in una sua mera esecrazione.

Non è stata giudicata indispensabile una valutazione di merito del suo operare politico, delle motivazioni riconducibili al suo orizzonte ideale, delle scelte da lui operate, dell'impatto da queste esercitato nel breve e nel lungo periodo sul sistema politico e, più in generale, sul sistema Paese. Ne è conseguito il paradosso che Craxi, il fautore di un nuovo riformismo, il temerario fautore di una Bad Godesberg italiana sino allora rifiutata dalla sinistra nostrana, caparbiamente refrattaria alle implacabili repliche della storia, è stato relegato nel girone dei rinnegati. Al contrario Berlinguer, il comunista convinto, l'intemerato apostolo di una velleitaria quanto indeterminata «fuoriuscita dal capitalismo», è stato innalzato alla gloria dell'altare con l'aureola di santo protettore della sinistra, della sinistra di sempre, anche di quella seguita al crollo dell'Urss, destinata a prescindere totalmente dagli schemi classici della tradizione comunista, a divenire cioè riformista: fuor dai denti, di una sinistra chiamata a riconciliarsi col capitalismo.

Ne discende il paradosso di una sinistra che, sintonizzatasi da ultimo - in ritardo di oltre mezzo secolo dal resto dell'Europa e solo dopo il collasso del socialismo reale - sulla lunghezza d'onda del riformismo, ha continuato a richiamarsi al magistero di un indefettibile profeta del comunismo e a rifuggire viceversa da un convinto fautore del socialismo democratico.

C'è un secondo nodo storiografico e politico da sciogliere a proposito di Craxi. Quanti pensano di aver saldato, una volta per tutte, i conti con il leader socialista inserendolo come personaggio centrale nel grande romanzo criminale di Tangentopoli devono decidersi se lo vogliono inserire nella galleria dei leader storici della sinistra o viceversa in quella opposta, in quanto alfiere della destra in gestazione, tenuta poi a battesimo da Berlusconi. Non è una differenza di poco conto. È di tutta evidenza che a seconda della parte politica cui lo si attribuisce, cambia di segno la sua esperienza politica. Cambia il senso complessivo della sua attività di leader di partito e di capo del governo come pure quello dei suoi singoli atti.

Sciogliere quesiti del genere significa non solo mettere a fuoco i tratti caratterizzanti di un leader di partito e capo di governo la cui azione ha contrassegnato un'intera stagione della vita pubblica nazionale. Comporta conferire altresì un diverso senso, orientamento e continuità alla storia repubblicana. Cambia di netto la prospettiva se si considera il craxismo l'apoteosi e insieme l'epilogo di una Repubblica dei partiti, depredatrice, collusa con poteri occulti e con settori malavitosi della società, fonte e fomite di corruzione, disposta persino a conculcare principi e istituti cardine della Costituzione pur di perpetuarsi come regime o viceversa l'avvio, stentato, contraddittorio, velleitario fin che si vuole ma pur sempre di una modernizzazione dell'impianto istituzionale e delle politiche - sia economica che di welfare - utili a riattrezzare e rivitalizzare una democrazia in crescente affanno di fronte alle impegnative sfide provenienti dalla società post-fordista e dalla globalizzazione.

Quesiti cruciali e laceranti ieri come oggi, eppur irrisolti: il che dimostra come sia per questo carica di attualità, e per questo motivo ineludibile,

una riflessione critica sull'azione di governo di Craxi in un'Italia che accusa ancor oggi un ritardo incontenibile, per usare un'espressione di Mauro Calise, «nel passaggio dal corporate millenium al secolo monocratico».

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