Economia

Crescita e debito: così il premier ha perso il treno della ripresa

L'Italia è peggiorata nei due anni con Renzi nonostante la congiuntura favorevole legata al dollaro debole, al petrolio in calo e agli aiuti Bce. E mancano ancora altri 7-8 miliardi

Crescita e debito: così il premier ha perso il treno della ripresa

Imbroglione che più imbroglione non si può. Non solo Renzi non ce la racconta giusta sulle cose che fa, ma soprattutto non ci dice la cosa più importante: che l'Italia sta andando sempre peggio. Crescita, disoccupazione, competitività, scuola, università, giustizia, digitale, nell'area euro l'Italia continua ad essere fra le ultime in classifica. E, come vedremo, il suo posizionamento è peggiorato anche negli ultimi due anni, da quando Matteo Renzi è al governo. Due anni non qualsiasi, ma anni eccezionali di quello strano «allineamento astrale» per il basso prezzo del petrolio, la svalutazione dell'euro rispetto al dollaro e per il quantitative easing, vale a dire l'enorme quantità di liquidità immessa dalla Banca centrale europea di Mario Draghi. Non essere riusciti a crescere, a ridurre la disoccupazione e a risalire nelle classifiche internazionali in questo quadro positivo sa tanto di masochismo: il nostro Renzi ha sbagliato proprio tutto: la sua politica economica e le sue riforme, tanto raccontate e strombazzate, quanto infelici. E non è finita, perché nel futuro rischia di andare ancora peggio, con la congiuntura che ci aspetta tutta in negativo.Un esempio su tutti, il crollo del petrolio: da fattore di stimolo per la crescita, ora sta diventando un problema. Il prezzo di un barile ha raggiunto livelli talmente bassi (oltre l'immaginabile) per talmente tanto tempo che oggi è tra le principali cause della deflazione. Così come è tra le cause della crisi dei paesi cosiddetti Brics, tra cui la Russia, i cui effetti «frenanti» si cominciano a vedere su tutta l'economia mondiale, Europa e Italia incluse.Due anni persi, quindi, e futuro nero. Può sgolarsi quanto vuole Renzi e continuare a intossicare la comunicazione, tutta a sua disposizione, ma i numeri hanno la testa dura. Nonostante l'«allineamento astrale» eccezionalmente positivo, nel 2015 l'Italia non è riuscita a crescere né a migliorare il suo ranking nelle classifiche internazionali: è il fallimento della politica economica e delle riforme di Matteo Renzi.Come ha dimostrato il professor Baldassarri, ogni 10 centesimi di variazione del cambio tra euro e dollaro comporta, a seconda del segno, una perdita/crescita del Pil di 3-4 decimali. Il cambio euro/dollaro nel 2014 era pari a 1,33, mentre nel 2015 ha chiuso a 1,10. Significa che nel corso del 2015 l'euro si è svalutato rispetto al dollaro di 23 centesimi, dai quali è derivata una crescita del Pil italiano dello 0,7%-0,9% (23 centesimi moltiplicati per 3-4 decimali di Pil).Lo scorso martedì l'Istat ha comunicato il dato definitivo sulla crescita del Pil italiano nel 2015, il più 0,8% tanto sbandierato da Renzi, e in effetti «quadra» con i calcoli del professor Baldassarri. Senza la svalutazione dell'euro, cioè, la crescita reale del Pil italiano nel 2015 avrebbe raggiunto a malapena lo zero o poco più. Questo è il bel risultato del governo, altro che chiacchiere.Questo sul lato «crescita», ma la débâcle è anche sul lato «classifiche»: cosa ha da gloriarsi Renzi se l'Italia cresce dello 0,8% (in realtà 0,6%, in quanto almeno per 2 decimali dovuto a 3 giornate lavorative in più nel 2015 rispetto al 2014 e non alla politica del governo) quando la media di tutti i paesi dell'Eurozona è +1,6%? Davvero pensa di darla a bere agli italiani quando cresciamo la metà, se non un terzo, degli altri paesi? E siamo terzultimi, solo dopo Austria (0,7%) e, pari merito, Finlandia e Grecia. Oppure penultimi se consideriamo 0,6%. La Spagna, per esempio, proprio quel paese che come noi nel 2011 era nell'occhio del ciclone della speculazione finanziaria, nel 2015 è cresciuta del 3,2%. Per non parlare dell'Irlanda, malato d'Europa nel 2011 e campione di crescita nell'Eurozona nel 2015: +6,9%, la più alta in assoluto. Ci sarebbe da rimanere basiti.Lo stesso ragionamento vale per il tasso di disoccupazione: secondo i dati Istat nel 2015 l'Italia ha avuto un unemployment rate dell'11,9%, contro una media dell'Eurozona dell'11%. Quasi un punto percentuale di differenza. Ci collochiamo al quinto posto sui 19 paesi dell'Eurozona. Con la differenza che i quattro che ci precedono in termini di maggiore disoccupazione (Portogallo, Cipro, Spagna, Grecia), come abbiamo detto, hanno un tasso di crescita del Pil maggiore del nostro (con l'eccezione della Grecia): Portogallo +1,5%, Cipro +1,4%, Spagna +3,2%. Quindi hanno prospettive di ridurre la disoccupazione più rapidamente e in maniera più strutturale dell'Italia. Non solo siamo tra gli ultimi ma tra siamo peggiorati di due posizioni, il che vuol dire che tutta il Jobs Act non è servito a nulla. Anzi, gli indicatori relativi al mercato del lavoro italiano sono peggiorati. Ma non è finita. Con la fine dell'«allineamento astrale» positivo, il 2016 andrà ancora peggio: la crescita rallenta e la deflazione amplificherà le negativitàTorniamo alla crescita del Pil. L'andamento negativo degli ultimi mesi del 2015 influisce, per effetto del cosiddetto «trascinamento» di ciascun anno sul successivo, sull'andamento del 2016. Anno che parte, quindi, con il freno a mano tirato, tanto che l'Ocse ha già rivisto al ribasso le previsioni sull'Italia. La crescita reale non sarà pari all'1,6% previsto dal governo nella Nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre, ma raggiungerà al massimo l'1%. E sono prevedibili ulteriori revisioni all'ingiù. A questo numero bisogna aggiungere poi, per calcolare il tasso di crescita nominale, vale a dire il dato che conta ai fini del rispetto dei parametri europei, l'inflazione. Nei documenti del governo essa è prevista all'1%, così da avere una crescita nominale per il 2016 pari al 2,6%. Ma proprio lunedì l'Istat ha pubblicato i primi dati e non tira per niente aria buona: l'inflazione acquisita ad oggi è -0,6%.Vogliamo essere fiduciosi e speriamo che nei prossimi mesi la situazione migliori ma, pur esagerando, se il tasso di inflazione a fine 2016 si attestasse intorno a +0,2% o +0,3%, la crescita nominale del Pil italiano potrebbe raggiungere, bene che vada, un valore attorno all'1,2% o 1,3%, cioè la metà di quella su cui l'esecutivo ha basato i conti pubblici e tutto il deficit spending della sua legge di Stabilità. Ripetiamo: bene che vada. Come nel caso del 2015, dunque, anche i numeri del 2016 certificano il fallimento della politica economica di Matteo Renzi e l'ulteriore allontanamento dell'Italia dai valori medi dell'Eurozona e dell'Europa. Qualche precisazione finale per amor di verità. Sul deficit. Il presidente del Consiglio (si fa per dire) si bea di aver ridotto il rapporto deficit/Pil dell'Italia dal 3% del 2014 al 2,6% nel 2015. «E nel 2016 scenderemo ancora». Il 2016 dovrebbe chiudere, stando ai conti del governo, al 2,4%, ma secondo i calcoli della Commissione europea siamo già al 2,5% e servirà un aggiustamento di almeno 0,15% per chiudere al 2,35%. Ad ogni modo, Renzi omette di dire che il suo governo si era impegnato con l'Europa a portare il rapporto deficit/Pil del 2016 all'1,4%. Altro che riduzione, quindi: Renzi ha già sforato, rispetto a quanto pattuito con l'Ue per il 2016, di oltre un punto di Pil (da 1,4% a 2,4%-2,5%). L'imbroglio continua.E poi il debito. Lo ha affermato candidamente il viceministro Morando: mancano all'appello 7-8 miliardi perché l'Italia possa considerarsi nel rispetto delle regole. Apprezziamo la sincerità, ma il viceministro non tiene conto, in questi calcoli, dell'andamento negativo dell'economia. 7-8 miliardi mancherebbero se la crescita nominale del Pil fosse quella che il governo aveva previsto al momento della redazione della Nota di aggiornamento del Def, ma essendo cambiate, come abbiamo visto, completamente le condizioni congiunturali, il buco sarà molto più grosso. Ovviamente bisognerà colmarlo e lo sforzo sarà chiesto ai soliti italiani. Anche in questo caso, sul debito, l'Italia peggiora il suo posizionamento rispetto all'Europa. Difficile riuscire a far sentire la voce dell'opposizione in un clima di regime. Ormai abbiamo capito il nostro Renzi: quando è di fronte a una difficoltà, a un dato negativo o a un fallimento occupa tutte le televisioni e i giornali dicendo il contrario. Spudoratamente, senza vergogna. E tutti apparentemente a seguire il suo storytelling. Venerdì di una settimana fa, il 26 febbraio, ci eravamo lasciati con la doccia fredda del Country report della Commissione europea che bocciava i conti pubblici italiani. E lunedì cos'ha fatto Matteo Renzi? Incurante di tutto, se n'è uscito, con una incredibile quanto impossibile riduzione delle tasse a partire dal 2017.Proprio senza vergogna. Intossica l'informazione, impone a giornali e telegiornali una lettura in chiave positiva dei numeri (anche la matematica è diventata un'opinione), con la solita strategia del cherry picking, la scelta delle ciliegie buone rispetto a quelle cattive, vale a dire citando solo i dati che fanno comodo, tralasciando gli altri. Dopo gli ultimi due anni, quelli di Renzi, l'Italia e gli italiani stanno peggio. Questa l'amara realtà. E ormai l'hanno tutti capito. Ultimo dato? La fiducia in Renzi che in due anni per il «bomba» di Rignano si è pressoché dimezzata, dal 61% di febbraio 2014 al 32% di febbraio 2016. Rien ne va plus.

Game over.

Commenti