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Cuba, rivolta di popolo contro il regime

Migliaia nelle strade per chiedere libertà. La minaccia di Diaz Canel: pronti a rispondere

Cuba, rivolta di popolo contro il regime

Cuba sta esplodendo e a detta di molti analisti, il presidente/dittatore Miguel Díaz-Canel potrebbe fare la fine di Nicolae Ceausescu. Da vedere quanta repressione la dittatura sarà disposta a esercitare e per quanto le manifestazioni di massa cominciate l'altroieri andranno avanti sull'isola caraibica. Di certo c'è che da quando il primo gennaio del 1959 Fidel prese il potere non si erano viste proteste di tale entità. Persino più gente del 1994, quando vi fu il Maleconazo, la ribellione del Malecón, il lungomare dell'Avana, repressa con violenza e che provocò un esodo di 35mila cubani in Florida.

Da domenica scorsa, tuttavia, non è solo la gente della capitale a essere scesa in strada al grido «Libertà, libertà», «Abbasso la dittatura», «Non abbiamo paura», «Patria e vita» (la canzone simbolo dell'opposizione che sbeffeggia lo slogan della rivoluzione «Patria o Morte») e «Díaz-Canel singao» (figlio di puttana in slang cubano) ma di tutte le principali città dell'isola. Migliaia di persone di ogni età esasperate dalla mancanza di cibo, medicinali, blackout continui e un sistema sanitario al collasso da settimane a causa del Covid con «gli anziani che muoiono come mosche in casa», denuncia Roberto, uno dei manifestanti che dall'alto dei suoi 60 anni dichiara di non avere «mai visto qualcosa del genere».

In un messaggio in diretta tv domenica scorsa Diaz Canel ha garantito che «la repressione sarà implacabile». «Siamo pronti a morire e dovranno passare sopra i nostri cadaveri se vogliono sfidare la rivoluzione» ha minacciato il dittatore. Immediata è arrivata la represssione, con un centinaio di arresti, soprattutto giovani, che stavano trasmettendo in diretta via Facebook le marce di protesta. Ieri il regime ha interrotto Internet e ha mobilitato il gruppo d'élite dell'esercito «rivoluzionario» dei «Berretti Neri», squadra d'assalto tristemente celebre per la violenza con cui reprime il popolo. Díaz Canel ieri è tornato in tv: «I manifestanti hanno avuto la risposta che meritavano, come in Venezuela».

Il presidente Joe Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti stanno «dalla parte del popolo cubano che sta coraggiosamente chiedendo il riconoscimento di diritti fondamentali dopo decenni di repressione e di sofferenze economiche dovute a un regime autoritario». Ma su Cuba si consuma l'ennesimo scontro con la Russia, che mette in guardia contro le interferenze esterne. Contattato da Il Giornale, l'ex ambasciatore italiano a Cuba tra 2005 e 2009, Domenico Vecchioni, descrive così la situazione: «Per la prima volta la dittatura deve far fronte a una protesta spontanea della popolazione, stremata dalla penuria, la crisi economica, la mancanza di libertà e il Covid 19. Per la prima volta i cubani hanno mostrato di avere il coraggio di protestare, il coraggio della disperazione, il coraggio di dire basta al sistema comunista e alla dittatura». Poi Vecchioni si sofferma sulla risposta del presidente Diaz Canel che nei fatti «incita alla guerra civile. Chiama i veri rivoluzionari' a scendere in piazza». Mossa simile a quella di Ceausescu, poi ucciso nel Natale del 1989 e, per prevenire un bagno di sangue, «bene hanno fatto gli Usa a mettere in guardia il regime». La lezione da trarre? «A 60 anni dalla presa del potere di Fidel, i cubani sono ancora lì a reclamare pane, libertà e migliori condizioni di vita. Prova del drammatico fallimento della Revolución.

È giunta l'ora di prenderne atto», chiosa Vecchioni in un appello mai così opportuno nel nostro Paese, dove la cultura dominante ha mascherato dietro una patina di romanticismo ideologico la più antica dittatura d'America latina, che ha trasformato il suo popolo in miserabili, mentre l'élite castrista naviga nel lusso più sfrenato.

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