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Dagli Usa alle colombe 5S. Chi può convincere Draghi

Il premier segue la situazione, ma ancora non vede le condizioni per restare. Il nodo appoggio esterno

Dagli Usa alle colombe 5S. Chi può convincere Draghi

Tutto qui? No, non ci siamo, dice Mario Draghi dalla sua casa di Lavinio, sul litorale romano, prima di una cenetta in famiglia a base di pesce. Cioè, non ci siamo ancora, traducono forse con un pizzico di ottimismo quei pochi che riescono a raccogliere gli umori del premier. E «ancora» è la parola chiave. Da Biden al Papa, dai vertici Ue agli artisti, dai sindacati alle imprese al made in Italy fino ai cittadini che stanno firmando petizioni e postando tweet perché resti al suo posto. L'elenco è lungo, mancano solo i partiti e in particolare chi ha provocato questo terremoto. È vero, all'interno della telenovela grillina l'ultima puntata sembra veder prevalere le colombe, con l'ala governista che lavora sodo per ricucire Però non basta, tanto più che in serata Conte rilancia e ipotizza addirittura l'appoggio esterno riportando tutto in alto mare. Se Draghi non cambia idea, ammesso che sia disposto a farlo, è perché tuttora non vede nessun «tentativo concreto e serio» dei Cinque stelle di recuperare.

Eppure, a tre giorni dall'intervento al Senato, qualcosa si sta muovendo. Il premier è andato al mare, a 50 chilometri da Roma, per mettere una distanza fisica oltre che mentale dal problema, ma segue comunque la situazione. Le parole della Casa Bianca, il sondaggio che lo conferma come leader più popolare, la maggioranza degli italiani che lo vuole ancora a Palazzo Chigi e gli sforzi di chi sta cercando di rimettere in piedi la maggioranza, di ricreare le condizioni di febbraio 2021, sfruttando al meglio il tempo supplementare ricavato da Sergio Mattarella, che ha congelato la crisi respingendo le dimissioni e rimandando Draghi alle Camere, come richiede la prassi costituzionale.

Ecco allora la diplomazia del Pd, con Enrico Letta che prova ad ammorbidire M5s, pregandoli «di essere della partita mercoledì». Ecco pure Carlo Calenda, che suggerisce una possibile soluzione: «I leader dei partiti più responsabili assicurino un sostegno leale al governo sulla base di un'agenda di riforme molto precisa». Una strada che taglia fuori i grillini, come ipotizzano anche Renzi, Forza Italia e Lega, che però si scontra con uno dei punti fermi del presidente del Consiglio, non c'è maggioranza senza Cinque Stelle.

L'altra via passa per un appello pubblico dei leader di partito. Segretari o capogruppo il 20 al Senato dovrebbero alzarsi uno ad uno e chiedere, implorare, scongiurare Super Mario di rimanere per il bene del Paese, rinnovando così esplicitamente e prima del voto la fiducia all'esecutivo fino alla scadenza naturale della legislatura, in primavera 2023, per affrontare con la dovuta energia e compattezza le prove che sono di fronte al Paese: crisi economica, Covid, guerra, riforme, Pnrr, legge Finanziaria e via elencando. Dopo di che all'appello potrebbe seguire una mozione unitaria firmata da tutte le forze di maggioranza.

Al momento è fantascienza, però è questo lo schema su cui si sta lavorando. Resta il problema del centrodestra, che non vuole più i grillini tra i piedi e il problema opposto del Pd che non vuole farne a meno. C'è soprattutto il problema principale, Draghi che non ne può più di tutti e non si fida più di nessuno. Riusciranno i tre giorni rimasti ad avvicinare le parti? Il premier li passerà, raccontano a Palazzo Chigi, preparando il discorso e concentrandosi sui dossier.

Il viaggio in Algeria, con il vertice intergovernativo, è troppo importante per il futuro energetico italiano per non restare sul pezzo.

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