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Dall'avvocato al veterinario: la piovra dei colletti bianchi

Il più noto medico degli animali a Palermo era prestanome dei boss E non è un caso isolato: scoperti 400 professionisti collusi in 10 anni

PalermoRapporti col capo mafia di Carini, Salvatore Cataldo, e irregolarità sui controlli delle carni e del pesce che finisce sulle nostre tavole. È gravissimo il quadro emerso dall'attività investigativa della Digos di Palermo, coordinata dalla Procura del capoluogo siciliano, sul direttore del Dipartimento di prevenzione veterinario dell'Asp di Palermo, Paolo Giambruno, che è anche presidente dell'Ordine dei medici veterinari.

Sono in tutto 29 le persone indagate, tra funzionari, dirigenti dell'Azienda sanitaria e imprenditori del settore alimentare, per reati contro la pubblica amministrazione e inerenti la violazione della normativa di settore posta a tutela della salute pubblica nella commercializzazione di alimenti. Tra gli indagati la posizione di Giambruno, anche per il ruolo che riveste, risulterebbe assai grave. A suo carico è stato effettuato un sequestro patrimoniale per 3 milioni di euro, tra beni, conti correnti, conti deposito titoli, l'intero capitale sociale e il complesso dei beni aziendali di ben tre società con sedi legali a Palermo e a Carini, controllate da parenti di Giambruno che rivestivano il ruolo di amministratori unici.

Le indagini furono avviate nel 2010 dopo la denuncia di un medico veterinario del servizio sanitario pubblico che parlò di illegalità commesse nella gestione del Dipartimento dell'Azienda sanitaria provinciale. Con i cellulari messi sotto controllo fu scoperchiato un vaso di Pandora. A Giambruno, infatti, oltre alla pesante accusa di intestazione fittizia di beni del boss Cataldo, sono contestati altri capi di imputazione: concussione, falso, abuso d'ufficio, truffa.

E non finisce qui. Perché ci sarebbero stati dei «favoritismi» ad alcune aziende. Col risultato, secondo i magistrati, di «numerose irregolarità emerse nell'ambito dei controlli sanitari effettuati dal Dipartimento di prevenzione veterinario dell'Asp sulla qualità delle carni e del pesce da destinare al consumo». In un caso Giambruno avrebbe fatto pressioni perché venisse macellato un bovino affetto da tubercolosi di una determinata azienda. Tutti gli animali infetti dello stesso allevamento furono sequestrati in tempo. In un altro caso il funzionario si sarebbe interessato per fare ottenere a due aziende di Carini e Lampedusa certificazioni su prodotti dolciari e ittici destinati all'estero, senza che ne avessero i requisiti.

Lo scandalo c'è, eccome. Anche se non si tratta dell'unico caso. Si ricordano: l'avvocato vicino al clan del Casalesi, condannato a 11 anni, per favoreggiamento; il commercialista (11 anni anche a lui) nel mirino per concorso esterno. E la lista è lunga. In Sicilia in 10 anni, come attesta l'inchiesta del giornalista e scrittore messinese Nino Amadore riportata nel suo libro La zona grigia, professionisti al servizio della mafia (La Zisa editore, 2007), sono stati almeno 400 i professionisti finiti nei guai per avere avuto contatti con la mafia. Il libro denuncia che sono i medici, nel solco di una tradizione che porta al capomafia corleonese Michele Navarra, ad avere più di tutti fornito i quadri dirigenti a Cosa nostra. Basti pensare al boss Giuseppe Guttadauro, medico divenuto capo del mandamento mafioso di Brancaccio, quello dei fratelli Graviano mandanti dell'omicidio di don Pino Puglisi.

Si è visto anche di recente come il superlatitante Matteo Messina Denaro gestisse una vasta rete di società e imprese per oltre 20 milioni di euro tra aziende agricole, commerciali, terreni, fabbricati e disponibilità finanziarie, grazie ai suoi prestanome.

È quest'intreccio diabolico tra gli elementi di spicco dei clan mafiosi e i liberi professionisti quella «zona grigia» di cui parla Amadore, che deve essere scoperchiata e illuminata a giorno perché la mafia non abbia più a condizionare chi alza la testa e si ribella, come i dipendenti della Iti Caffè, azienda confiscata alla famiglia mafiosa dei Graviano, che, dopo la ribellione, furono ostacolati nella gestione.

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