Dopo il voto del Parlamento è arrivata subito la prima multa. In Danimarca son bastati tre giorni per passare dagli avvertimenti, anzi dalla legge, ai fatti. Ieri, a 72 ore dall'approvazione in Parlamento della cosiddetta legge anti-niqab introdotta per vietare l'uso di «qualsiasi indumento» destinato a coprire il volto la polizia ha inflitto una multa da mille corone (134 euro) ad una donna che pretendeva di coprirsi il volto. Tutto inizia in un grande magazzino di Horsholm, una località 15 chilometri a nord di Copenaghen, dove una cliente ritrovatasi faccia a faccia con una musulmana coperta da testa a piedi le rammenta la nuova legge. In breve il battibecco degenera in una mezza zuffa durante la quale il «niqab» incriminato resta in mano all'indignata cliente non musulmana. Ma le cose non finiscono lì. Quando gli agenti intervengono per dividere le due litiganti l'esagitata musulmana si guarda bene dal rispettare la legge. Anzi dopo essersi aggiustata il velo restituitole dagli agenti si rifiuta dal mostrare il volto e invoca il diritto a vestirsi come le pare. A quel punto, mentre entrambe le donne vengono accusate di disturbo della quiete pubblica, la musulmana viene condannata a una multa supplementare da 1.000 corone (circa 134 euro) per aver violato il divieto del velo in pubblico. Una multa che conferma la determinazione delle autorità danesi a far rispettare un provvedimento che pur essendo in vigore anche in Francia, Belgio, Olanda, Baviera e Canton Ticino viene fatto rispettare di rado.
Nei giorni precedenti la sua approvazione in Parlamento la legge sul niqab, fortemente voluta dal governo di centro destra, ha diviso il Paese dando vita a manifestazioni e proteste. L'esecutivo ha più volte ribadito come la legge sia basata su ragioni di sicurezza, ma il ministro della Giustizia Soren Pape Poulsen ha messo l'accento anche su valori e radici culturali. «Non coprirsi il volto e gli occhi e poter osservare le espressioni degli altri fa parte delle nostre radici e della nostra cultura. In Danimarca questo è un valore». Militanti di sinistra, difensori dei diritti umani e tutte le altre categorie del «politicamente corretto» hanno invece bellamente ignorato il diritto delle donne a mostrare il volto per difendere la presunta libertà di scegliere il vestiario più adatto alle proprie convinzioni religiose. Per Gauri van Gulik, direttrice di Amnesty International per l'Europa, «tutte le donne dovrebbero essere libere di vestirsi come vogliono e di indossare abiti che esprimano la loro identità o le loro convinzioni (...) La legge criminalizza le donne per le loro scelte di abbigliamento e così facendo tradisce quelle libertà che la Danimarca pretende di sostenere».
Una libertà assolutamente presunta visto che l'uso del niqab, prima di venir vietato in Danimarca ed altri paesi europei, è stato messo al bando, con un decreto dell'Università di Al Azhar dell'ottobre 2009. Con quel decreto l'Università islamica del Cairo, considerata uno dei fari della dottrina sunnita, vietò l'utilizzo del velo integrale nelle sue aule e dormitori. L'utilizzo del niqab, diffuso inizialmente solo tra le tribù salafite della penisola araba deriva quasi sempre da imposizioni familiari o dall'adesione ad una visione radicale ed estremista dell'Islam.
Nel secondo caso non è più un semplice indumento, ma la bandiera di un'ideologia religiosa che privilegia i dettami Corano rispetto all'ordinamento dello Stato e spinge chi la condivide a scelte non in linea con le leggi del paese in cui vive.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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