Milano C'è da presentare un libro, ma si parla solo di una pagina: la 209. È il caso del giorno. Maria Elena Boschi avrebbe chiesto nel 2015 all'allora amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni di salvare l'agonizzante Banca Etruria. Il teatro Franco Parenti è stracolmo. Sul palco ci sono due ex direttori del Corriere della sera: Ferruccio de Bortoli, che ha firmato il libro Poteri forti (o quasi) (La nave di Teseo) e Paolo Mieli.
De Bortoli è misuratissimo, felpato, low profile come nel suo stile: «Non ho mai parlato di pressioni ma di interessamento». Poi però vibra la stoccata che va a segno: «Ho ottime fonti in Unicredit. Sono tranquillo. Mi auguro che quello della Boschi non sia solo un annuncio e la querela ci sia». È garbato, l'ex timoniere di via Solferino, ma lancia la sfida alla signora del Giglio magico.
Mieli è polifonico, alla sua maniera. Più che attaccare l'ex ministro delle riforme, oggi sottosegretario nel governo Gentiloni, punge Ghizzoni e lo invita a parlare forte e chiaro: «Mi auguro di poter leggere entro domattina un'intervista di Ghizzoni che chiarisca finalmente quello che è successo». Maria Luisa Agnese, che modera l'incontro e a sua volta ha guidato molte testate, gli chiede secca se la Boschi debba dimettersi. Lui ribalta la questione: «Un conto è incontrare una persona per caso e fare un cenno, altra cosa è prendere un appuntamento e sollecitare un intervento. La Boschi deve aspettare, Ghizzoni deve avere il coraggio di andare fino in fondo. Si parla tanto di società civile, sarei deluso se Ghizzoni non dovesse spiegare com'è andata. E darci i dettagli della storia».
Piergaetano Marchetti, storico ex presidente di Rcs Quotidiani, prova a rompere l'assedio: «Non c'è solo pagina 209». Mieli gioca con la notizia, da professionista consumato: «Strappatela quella pagina, tanto la conoscete già dai giornali; anzi, aspettate a leggere il libro una settimana o tenetelo per l'estate, cosa vi costa; vi assicuro che è il racconto molto bello di un ragazzo che entra nel mondo del giornalismo e lo attraversa per quarant'anni fra emozioni, incontri e rivelazioni».
Ma pubblico e giornalisti vogliono qualche altra goccia di rivelazioni. Ancora de Bortoli: «Credo che si debba uscire dall'ipocrisia, i politici possono e debbono occuparsi dei problemi del territorio, non ci trovo nulla di strano. Ma un conto è preoccuparsi, altra cosa sono le ingerenze. Nel suo caso - puntualizza l'autore dello scoop - c'era un conflitto di interessi». Quella era la banca di papà, Pier Luigi Boschi, il vicepresidente di Etruria. Niente da dire, invece sul comportamento di Unicredit: «La banca ha agito correttamente. Ha aperto un dossier e l'ha chiuso». Lasciando l'istituto di credito al suo destino.
Non se ne esce. Mieli sobilla, de Bortoli frena e non vuole infierire: «Comprendo la reazione della Boschi. E considero la richiesta di farsi da parte eccessiva». Il discorso scivola sui poteri forti: secondo de Bortoli sono in declino e questo è un guaio perché lo spazio viene riempito dai raider: «In politica e nella finanza. Da Ricucci a Bollorè».
Poi descrive il suo turbamento, anzi il suo tormento di giovane cronista costretto a rubare per esigenze di mestiere, come usava allora, la foto del morto. Anzi, della morta, vittima di quello che oggi si chiamerebbe femminicidio. Quell'azione ancora gli pesa. Forse più dei proclami di guerra della Boschi.
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