De Magistris cacciato da Alfano ora manda «pizzini» al Quirinale

Il ministro dell'Interno sospende il sindaco di Napoli, lui replica con strani messaggi a Napolitano tirando in ballo un'inchiesta che lo coinvolse durante Tangentopoli

De Magistris cacciato da Alfano ora manda «pizzini» al Quirinale

G iù il sipario. La commedia volge al termine. Il ministro dell'Interno va in Parlamento e al question time taglia la testa al sindaco Masaniello: «Il decreto legislativo 235 del 2012 è chiaro, Luigi De Magistris sarà sospeso oggi stesso». Fine della partita, almeno per ora. De Magistris deve andare in panchina e sperare che il tempo gli dia ragione. Oggi è costretto a sloggiare da Palazzo San Giacomo: la condanna, sia pure in primo grado per abuso d'ufficio, è un ostacolo insormontabile. La legge Severino non dà scampo al primo cittadino, solo ieri leader del movimento arancione e punto di riferimento della sinistra giustizialista. Alfano mette i puntini sulle i: «Chi ha una condanna non definitiva per abuso d'ufficio viene sospeso di diritto dalle cariche elettive». Il ministro, almeno per una volta, vuole mostrare un Paese serio, un Paese che non aggira le leggi, non traccheggia, non s'impantana sul cavillo. E così anticipa il prefetto, un po' come aveva bruciato sul tempo i pm di Bergamo rivelando al mondo intero la cattura del killer di Yara.

De Magistris si prepara a cedere le chiavi della città, forse al vicesindaco Tommaso Sodano, e sfida tutto e tutti: «Non mi dimetto. Farò il sindaco di Napoli fino al 2016 e starò di più in strada a fare il sindaco dei cittadini». Folklore, si potrebbe dire. Ma non solo.

Perché l'ex pm lancia anche messaggi pesanti in direzione del Quirinale. Pizzini in bilico, fra chiusura e conciliazione, fra un passato faticoso e le curve del presente. «Pur ritenendo - dice De Magistris - di aver subito dal presidente, quando ero magistrato, una forte ingiustizia perché lui presiedeva il Csm che mi ha trasferito e pur essendomi io appellato più volte a lui per non lasciarmi isolato in Calabria, appelli che non ha ritenuto di accogliere, tuttavia da sindaco ho superato questa sofferenza personale e ho intrapreso relazioni istituzionali con il presidente». Dunque, il punto di partenza è la stagione burrascosa del De Magistris pm a Catanzaro, impegnato con la ciclopica inchiesta Why not, quella che ora l'ha messo nei guai per aver acquisito i tabulati di alcuni parlamentari in modo illegittimo. Alla fine le grandi inchieste furono tolte al Masaniello che si era messo in testa di mappare una ramificatissima rete di malaffare, così estesa da perderci la testa e da far impallidire la Spectre. De Magistris fu spostato in Campania senza tanti complimenti e a decretare il suo esilio fu proprio il Csm guidato da Napolitano. I due insomma non si sono mai presi. Ma nel periodo successivo il sindaco ha ricucito i rapporti con il capo dello Stato, spesso in visita a Napoli. Dove, combinazione, è anche in queste ore.

E però è anche vero che in udienza, il 9 maggio scorso, De Magistris aveva alluso ancora una volta a Napolitano. E lo aveva fatto per difendersi dall'accusa di non aver informato il procuratore capo di Catanzaro di quello che bolliva nel pentolone delle sue indagini. De Magistris aveva spiegato di aver secretato le carte perché stava esplorando le relazioni oblique dei suoi superiori, di cui non si fidava affatto, e aveva buttato lì un precedente illustre cui appigliarsi: l'inchiesta supersegreta sulle tangenti per la metropolitana di Napoli in cui, guarda caso, era stato indagato per un certo periodo proprio l'allora presidente della Camera Giorgio Napolitano.

Quasi uno sfregio quella citazione. Oggi tutto torna d'attualità: le pagine chiare le pagine scure. A tarda sera la notifica arriva. E lui fa sfoggio di sarcasmo: «Salutatemela». In realtà è lui a congedarsi: bye bye Napoli.

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