Per la sua trasmissione trovarsi senza pubblico in studio è stato difficile. Certo, in questo momento, è l'ultimo dei problemi. Ma l'informazione in tv, mai come ora, sta svolgendo un ruolo fondamentale. La gente, chiusa in casa, ha fame di notizie, di condivisione, di sentirsi un popolo unito, di sapere se ci sono speranze di trovare rimedi. Anche Paolo Del Debbio è in prima linea sul fronte dell'informazione con Dritto e Rovescio, al giovedì su Rete4, programma che si basa sul sentire della gente, sulla parola data alle persone comuni, con tutti i pregi e i rischi che questa scelta comporta.
Del Debbio, il virus ha infettato anche le trasmissioni televisive, niente pubblico, ospiti a distanza...
«Per quanto ci riguarda, all'inizio siamo rimasti un po' spiazzati. Non avere la gente in studio ha inciso molto sul format perché il nostro punto forte è sempre stato il dibattito tra le persone comuni, gli esperti e i commentatori. Abbiamo dovuto ripensare il programma: dopo un momento di smarrimento, la soluzione è stata quella dei collegamenti da casa, o anche per strada. Così abbiamo ricreato quella polifonia, quella trasmissione a più voci che è il nostro marchio. E mi sembra che la scelta sia stata apprezzata, i nostri spettatori ci seguono».
Non solo il suo, ma tutti i programmi di approfondimento sono presi d'assalto dal pubblico, gli indici d'ascolto sono cresciuti in maniera vertiginosa...
«Ovviamente la clausura e l'astinenza da relazioni sociali favoriscono la voglia di televisione e in questo momento l'informazione è vitale per le persone. È anche un modo per affrontare la solitudine. Quello che prima succedeva per gli anziani che usavano la televisione come appiglio alla realtà, ora si estende a tutta la popolazione. Per tutti ora la socialità viene trasferita dentro al mezzo televisivo. Informarsi può anche aiutare le persone dal punto di vista psicologico, a non lasciarsi scivolare nella paure, nelle angosce, nei timori».
Si assiste però a un'overdose di approfondimenti sul Coronavirus, su tutti i canali, a tutte le ore. Secondo lei non si sta esagerando?
«Bisogna in effetti stare attenti. Chi realizza e conduce le trasmissioni deve mantenersi su un crinale: dare le giuste notizie senza creare ansia. E in questo momento non ci stanchiamo di ripetere che il nostro ruolo essenziale è convincere le persone a rispettare le regole. A mostrare loro, come abbiamo fatto l'altra sera, che dove si sono presi e attuati provvedimenti drastici come a Codogno, la situazione è migliorata, il contagio è calato».
Non è facile essere chiari con gli spettatori quando le misure sembrano confuse, a volte contraddittorie...
«La situazione è molto complicata, il Governo ha dovuto affrontare una situazione mai vista prima, però certamente ci sono state incertezze abbastanza gravi. Soprattutto all'inizio. Se si fossero presi subito provvedimenti radicali, il contagio non si sarebbe così aggravato. Ma soprattutto, dal punto di vista politico, si doveva affrontare la comunicazione della pericolosità del virus in modo diverso. La gente, fino a un certo punto, ha pensato che il problema fosse minimo, che si poteva continuare fare la vita di prima. E questo non si può imputare certamente ai media».
Nel frattempo le tv si sono dovute reinventare sfruttando mezzi come per esempio Skype...
«Certo, in questo momento sono fondamentali, soprattutto per raggiungere medici ed esperti negli ospedali o le persone chiuse in casa. Però ovviamente non danno quella qualità dell'immagine e dell'audio delle telecamere portate dalle troupe. Dopo questa emergenza, l'esperienza fatta resterà ma penso che i grandi canali come i nostri torneranno a usare i mezzi tradizionali».
E, secondo te, anche come studioso, cosa rimarrà di questo periodo nella tv e l'informazione?
«Prima di tutto questa guerra lascerà un segno sulla
società, di fragilità, nulla sarà come prima. Per quanto riguarda la tv si è confermata un mezzo importantissimo, fondamentale e lo resterà ancora per molto tempo. A dispetto di chi la dava per morta, sostituita da Internet».
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