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Dibba liquida Grillo: "Amen". E il M5s si aggrappa a Conte

I grillini di governo per sopravvivere sperano in Giuseppi. Taverna: "Onorata se ci guidasse"

Dibba liquida Grillo: "Amen". E il M5s si aggrappa a Conte

Amen. Amen è una parola che vuol dire tante cose, dipende da come la incarni e dal tono che usi. Amen è la fine della preghiera. È una speranza. È il «così sia». Oppure è il suo opposto, se lo pronunci scrollando le spalle, come un «chi se ne frega». Allora amen è «e vabbè». «Pazienza». «Ce ne faremo una ragione». È come farsi scivolare addosso le prediche o i rimbrotti dell'altro. Alessandro Di Battista lo ha usato nella seconda versione. L'impatto politico è un «vaffa» in faccia a Beppe Grillo.

Dibba si sente un ribelle e non vuole morire democristiano, in nessuna versione. Non quella del suo amico Di Maio, tanto meno quella insopportabile incarnata dal premier Conte e neppure come succursale del Pd di Franceschini e Zingaretti. Di Battista vorrebbe riportare il Movimento allo spirito delle origini, quelle in cui Grillo stava sul fronte del palco e Gianroberto Casaleggio gli suggeriva le battute. «Ho pensato spesso che alcuni errori, sempre in buona fede, che abbiamo commesso, con lui in vita saremmo riusciti a evitarli».

Di Battista spinge per una sorta di restaurazione dello spirito per ritrovare una rotta e ridare un senso ai Cinque Stelle. Quando ti perdi in effetti può essere utile guardare in alto e ridisegnare i punti nel cielo. Il piccolo carro è da qualche parte lassù e sulla punta c'è la stella polare. È per questo che chiede al più presto un congresso o un'assemblea costituente, per chiarirsi le idee e magari anche contarsi.

La risposta di Grillo è una staffilata. Dopo i terrapiattisti e i gilet arancioni di Pappalardo pensavo di aver visto tutto... Ma ecco l'assemblea costituente delle anime del Movimento. Ci sono persone che hanno il senso del tempo come nel film Il giorno della marmotta». È il 2 febbraio che non passa mai. È Bill Murray, nei panni di un meteorologo scorbutico, che si ritrova a vivere ogni giorno la stessa storia. Si sveglia e tutto si ripete, come se il domani non esistesse. Beppe insomma rimprovera a Dibba di essere rimasto ancorato al passato, in quello che nelle rivoluzioni viene chiamato lo «stato nascente», quando tutto è bello e si è pieni di illusioni, di entusiasmo, di idealismo e di purezza. I Cinque Stelle quella innocenza l'hanno persa quando si sono dovuti confrontare con l'esercizio quotidiano del potere. Non ne sono stati all'altezza. Adesso il Movimento è un covo di rimpianti, ripicche, delusioni, correnti che si rinfacciano a vicenda questo o quel fallimento. Sono un partito che deve fare i conti con il quotidiano, con l'arte di sopravvivere, con compromessi sempre più a ribasso, magari facendo il morto a galla per non perdere la poltrona. L'uomo che incarna questa stagione per Grillo è Giuseppe Conte. Il futuro del Movimento passa da lui e punta a sinistra, con un'alleanza più stabile con i Cinque Stelle. In questo mettici che Beppe sembra essere diventato allergico a tutti i suoi figliocci e fatica a dialogare con Davide Casaleggio e il quadro è fatto. Il Movimento deve normalizzarsi.

Di Battista replica, appunto, con poche parole: «Ho delle idee. Se Grillo non è d'accordo amen». A sostegno di Grillo si fa sentire Paola Taverna, vicepresidente del Senato, che boccia il congresso. «È solo un modo per far litigare le varie correnti. Il destino del Movimento non può essere più solo quello della denuncia e della protesta». Poi invoca Conte. «Sarei onorata se decidesse di accompagnare il percorso politico del Movimento». Il premier viene visto come un cavaliere bianco o un capitano di ventura, chiamato a portare la pace in una comunità dove ogni fazione si fa guerra senza sosta. L'ultima parola spetta a Conte. Cosa farà? Partito sì, partito no.

Troppo presto, per ora Giuseppe pensa solo a godersi il reality show degli Stati Generali.

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