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Diffamazione o prescrizione Il dilemma di Travaglio

Il condirettore del Fatto Quotidiano diffamò l'ex direttore Rai Del Noce parlando di "cretinismo". Sanzionato in primo grado ma graziato dai ritardi

Diffamazione o prescrizione Il dilemma di Travaglio

Vi immaginate Marco Travaglio «prescritto» come un Andreotti qualunque? Travaglio «prescritto» come un Berlusconi qualunque? Sia chiaro: non accadrà. Cioè, noi non lo sappiamo, ma non abbiamo motivo di dubitare che il condirettore del Fatto quotidiano farà esattamente quello che ha sempre predicato per gli altri, e rinuncerà alla prescrizione. I fatti risalgono al 2007: l'11 maggio di quell'anno compare su l'Unità diretta da Antonio Padellaro un articolo dal titolo «Di niente di meno» nella rubrica «Uliwood party» di Travaglio.

Il giornalista critica l'allora direttore di RaiUno Fabrizio Del Noce paragonandolo a un «Re Mida alla rovescia», capace di clamorosi insuccessi con ogni conduttore da lui «sfiorato». Del Noce s'incazza e lo querela, anzi, lo ha già querelato per un precedente articolo cui Travaglio fa riferimento nello scritto incriminato: «Vorrei rassicurarlo (Del Noce, ndr ), il titolo dell'articolo “La prevalenza del Cretino” era tratto da un celebre libro di Fruttero e Lucentini. Potrebbe farselo leggere da qualcuno che ci capisce e poi farselo raccontare. Il mio titolo tentava di descrivere il cretinismo imperante nella rete ammiraglia, elencando tutti i talenti con i quali Noisette è riuscito a scontrarsi nella sua ridicola gestione di RaiUno».

Noisette è un francesismo poco apprezzato dal giudice del tribunale di Roma Paola de Martiis che ravvisa «attacchi personali diretti a colpire su un piano morale» la persona criticata, ben al di là del legittimo diritto di critica. Il 28 aprile 2009 Travaglio viene condannato per diffamazione (insieme a Padellaro per omesso controllo). Travaglio deve pagare una multa di tremila euro, cui se ne aggiungono 10mila a titolo di risarcimento alla persona offesa.

L'imputato, che è a tutti gli effetti un presunto innocente, ricorre in appello, proprio presso quelle corti d'appello da lui bollate spregiativamente come «scontifici». La corte d'appello di Roma è sbalorditivamente lenta, anzi, con Travaglio batte il record di lentezza dato che a distanza di cinque anni non viene fissata neanche l'udienza di apertura. Rimane tutto sospeso fino al prossimo 11 novembre, quando il reato sarà definitivamente prescritto.

Sia chiaro: se capitasse a noi, non rinunceremmo certo alla prescrizione. Ma si sa, da queste parti navighiamo in acque impure, e senza sensi di colpa. Noi, a differenza di Travaglio, non scriveremmo mai che «la prescrizione non è assoluzione, anzi l'esatto contrario». Semplicemente perché non lo pensiamo. La prescrizione è un istituto di garanzia per il cittadino che non può essere perseguitato a vita. Noi non scriveremmo mai che Travaglio prescritto vuole «farla franca».

Non scriveremmo mai che Travaglio deve rinunciare alla prescrizione «se non ha nulla da temere». Non scriveremmo mai che deve fare così «chi è raggiunto da sospetti infamanti» (Travaglio versus Moratti ai tempi di Calciopoli). La diffamazione, del resto, non è una bagatella né una marachella. Con la penna si può uccidere, e chi scrive deve tenerlo a mente. La reputazione delle persone non è una caramella da sciogliere in bocca. Niente, nella nostra insulsa impurità noi ci terremmo stretta «'sta prescrizione», come un Andreotti qualunque.

Lui, ancora una volta, ci sbatterà in faccia la nostra sconfinata mediocrità e si staglierà al di sopra di noi tutti con un gesto eclatante e rivelatore: «Io sono Marco Travaglio, maestro di purezza».

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