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Il dilemma del Pd: poltrone o vendetta contro Matteo

I dem vogliono salvarsi ma prevale l'odio per l'ex: "Traditore". L'altolà a Iv di Zingaretti: "Mai più"

Il dilemma del Pd: poltrone o vendetta contro Matteo

Quel famoso proverbio cinese recita: «Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico». È quello che sta facendo il centrodestra considerato che nel centrosinistra si stanno scannando da soli. D'Alema sornione sogna la rivincita, Bettini infama Renzi, Bersani lo definisce «fuori come un balcone», Mastella e Calenda si sbattono il telefono in faccia.

Gli uni contro gli altri pur di salvarsi la poltrona, o come nel caso di Matteo Renzi, per ritagliarsi uno scampolo di notorietà. Con Italia Viva al 2,4% e un pugno di deputati e senatori che non fanno mezzo partito, l'ex premier gioca il tutto per tutto come in una tragicomica partita a poker. Non avendo più niente da perdere fa quello che gli è sempre riuscito meglio: bluffare.

Il suo ex partito è molto combattuto dalla sete di vendetta contro Renzi, che ha tradito tutto e tutti e la voglia di tenersi stretto il posto immeritato al governo, consapevole del fatto che chissà quando gli ritoccherà. L'analisi di Stefano Pedica, presidente di Cantiere democratico (Cdem), è impietosa: «Il Pd deve dare certezze e visione politica, non deve consumare vendette. Mi sembra che si voglia sostenere governi di persone senza partito per confermare l'inutilità dei partiti. Tutto questo porta solo alla vittoria di Salvini». Il dem Goffredo Bettini è avvelenato: «Renzi ha buttato tutto all'aria. Non solo per il suo carattere, ma per un disegno politico e per slabbrare i confini tra la destra e i democratici, pensando così di conquistarsi uno spazio».

Con la sua proverbiale modestia su Instagram, Renzi cita Theodore Roosevelt: «Una delle cose più belle che mi ha detto Barack Obama una volta è tu mi ricordi l'uomo nell'arena, l'idea di uno che combatte. E progressisti, riformisti, socialisti, lo sverniciano.

Il Pd parla di «crisi incomprensibile» anche agli occhi degli altri Paesi che sono «sconcertati». Una crisi che «fa perdere credibilità al Paese». Il Pd, però, è convinto che in Parlamento ci siano «forze democratiche, liberali, europeiste pronte a convergere nello sforzo» di far ripartire il Paese. Il segretario Nicola Zingaretti si presenta davanti alla Direzione nazionale. Una cosa è «rifiutare il rischio immobilismo» del governo come ha fatto il Pd, «altro è distruggere e aprire una crisi al buio. Se non si rispettano le opinioni degli altri, avendo la presunzione di tenere in considerazione solo le proprie, allora viene meno la fiducia e la possibilità di lavorare insieme. Il Pd si colloca di nuovo lontano da egoismi, da particolarismi, ma a difesa del nostro Paese contro derive avventuristiche», tuona il leader dem.

Il Pd respinge ogni ipotesi che li veda di nuovo al governo con Renzi, considerato «inaffidabile». Etichetta che anche lo stesso Renzi allontana da sé («sono un patriota, ma se mi chiedete se faccio parte della maggioranza dico non più»). Ma rifiuta anche l'idea di un coinvolgimento nel governo delle forze della destra nazionalista e populista. «Non faremo mai un governo sommando i nostri voti con quella della destra antieuropea e sovranista», chiarisce il ministro Pd per il Sud Giuseppe Provenzano.

E il senatore del Pd Tommaso Nannicini, suggerisce che il Pd accompagni Conte verso consultazioni «per capire se esistono i margini politici per ricostruire un accordo all'interno dell'attuale maggioranza o eventualmente per costruirne una allargata».

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