Guerra in Ucraina

Il dilemma di Salvini: "Troppe armi a Kiev". E i grillini alzano il tiro

I dubbi della Lega che frena sui nuovi aiuti militari: "Se ne discuta in Parlamento". Il M5s chiede chiarimenti al premier in Aula

Il dilemma di Salvini: "Troppe armi a Kiev". E i grillini alzano il tiro

Nella Lega iniziano a serpeggiare molte perplessità sulla linea del governo italiano sul conflitto in Ucraina. Nessuno pensa ad uno strappo nella maggioranza, assicurano i leghisti. Ma più passano i giorni senza uno spiraglio di pace, più nel partito di Salvini cresce la volontà di smarcarsi dal bellicismo del premier Draghi. Se Conte si è riposizionato sul pacifismo per pescare voti a sinistra e infatti il M5s formalizza la richiesta di «comunicazioni urgenti» in aula del premier Draghi sull'escalation militare in Ucraina, anche la Lega inizia a frenare sull'appoggio italiano a Kiev. Una mossa che ha, per entrambi, anche un senso elettorale: i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è contraria all'invio di armi. Tanto che alcuni intravedono un ritorno dell'asse gialloverde (però intanto, nel consiglio regionale della Lombardia, la maggioranza di centrodestra - Lega inclusa - boccia la mozione M5s per una «soluzione pacifica» della crisi).

Se all'inizio del conflitto Salvini era addirittura andato di persona al confine con l'Ucraina per organizzare gli aiuti ai profughi, ora nel quartier generale della Lega la parola d'ordine è prudenza. «Noi siamo con gli alleati europei, ma se mandiamo i carri armati i russi ci considerano cobelligeranti, su questo serve una riflessione» dicono i leghisti. La Lega ha votato l'invio di armi ma se si pensasse di mandare armi pesanti con il nuovo decreto interministeriale, avverte il leghista Massimiliano Romeo, prima «si deve venire a discuterne in Parlamento». Un conto, dice il capo dei senatori della Lega, è «aiutare la resistenza Ucraina, altro conto è se la strategia fosse quella di annientare Putin. C'è il rischio che la guerra possa ampliarsi». Il primo a non condividere la strategia seguita dall'Italia e dai partner atlantici è ovviamente Matteo Salvini: «All'inizio, come la stragrande maggioranza degli italiani, ho detto subito sì, senza se e senza ma, all'invio di aiuti economici, umanitari e militari per l'Ucraina. Sono passati due mesi, è servito? Inizio ad avere dei dubbi. A chi vanno queste armi? In che mani finiscono? Queste armi avvicinano la pace? Salvano a vita ai civili ucraini o condannano i civili ucraini? Quando si parla di guerra bisogna essere sempre molto prudenti, molto attenti, molto cauti» commenta il leader della Lega. Che poi fa due riferimenti. Uno è al Papa, «una guida che sta cercando, davvero, da sempre e ad ogni costo, di arrivare alla Pace». L'altro è all'amministrazione Usa, anche se non citata direttamente quando dice «non vorrei che ci fosse qualcun altro, per altri interessi, a non volerli fare sedere Putin e Zelensky al tavolo». Non è un mistero che Salvini parli del presidente Usa Joe Biden, infatti aggiunge «se potessi, direi aridatece Trump. Perché con Trump abbiamo vissuto anni di pace. Guarda caso, quando tornano al governo i democratici tornano i venti di guerra». La Lega chiederà nei prossimi giorni che l'Italia si proponga per un ruolo di mediazione tra le parti. Magari portando per i territori contesi, dal Donbass alla Crimea, il modello di soluzione già proposta dai leghisti in commissione Esteri, quella dell'Alto Adige: un territorio italiano ma con una autonomia ratificata da trattati internazionali.

Il rischio per Salvini è quello di essere accusato di filo-putinismo, come dimostra la notizia pubblicata da Repubblica secondo cui Salvini avrebbe chiesto un visto per andare a Mosca. «Una bufala», secondo i leghisti. «Non ho chiesto nessun visto, non so nemmeno dove sta il passaporto» dice Salvini. Il leader però si è detto disponibile ad andare in Russia «se servisse».

Il suo vice Giorgetti non ne sa nulla, ma in ogni caso - avverte il ministro leghista - andrebbe prima «concordato con il governo».

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