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"Dimissioni? Vado avanti". Marino non si schioda e manda il Pd nel panico

Il sindaco a sorpresa inaugura i lavori alla stazione Termini ed elogia la sua amministrazione. Ma i dem vogliono cacciarlo

"Dimissioni? Vado avanti". Marino non si schioda e manda il Pd nel panico

Roma - Per il Pd è una «storia chiusa», per Marino è ancora tutta da scrivere. E il finale della tragicommedia che da settimane va in scena al Campidoglio rischia di trasformarsi in un bagno di sangue per i dem. Dopo aver detto a Repubblica che le sue dimissioni sono tutt'altro che irrevocabili, anche ieri il sindaco di Roma ha dato seguito all'attivismo post-passo indietro, presentandosi a sorpresa insieme al suo assessore Maurizio Pucci alla riapertura della riqualificata via Marsala, alla stazione Termini, e parlando da primo cittadino saldamente sulla tolda di comando. «Questo è quello che fa una amministrazione efficiente in un mese. È un risultato straordinario», ha gongolato il chirurgo prestato alla politica, definendo la sua «un'amministrazione molto efficiente e attenta ai problemi della città e del Paese». Il nuovo corso, intrapreso dalla conferenza stampa in cui si è difeso dal cena-gate in avanti, prosegue insomma a pieno regime. Con Marino che sembra aver dimenticato quelle dimissioni firmate obtorto collo , dribblando le domande dirette dei giornalisti sul braccio di ferro col Pd ma, di fatto, dimostrando di guardare avanti, a forza di affermazioni come quella di ieri: «Sto facendo quello che dice la legge, siamo molto concentrati sui lavori per il Giubileo per preparare la città a questo evento importantissimo». E pazienza se anche in giunta i problemi non mancano, tra strappi col suo vice Causi (che due giorni fa ha stoppato il sindaco, intenzionato a rinnovare, dopo quello dell'Auditorium, anche il Cda di Atac) e interviste, come quella dell'assessore ai trasporti Esposito, poco lusinghiere per il sindaco. Tra l'altro, dal prossimo anno i biglietti del trasporto pubblico non varranno più anche sui treni regionali. Trenitalia ha «mollato» la convenzione con Atac, rea di non pagare il dovuto alle ferrovie (il debito sfiora i 50 milioni di euro), e la Capitale fa un altro passo indietro, nonostante l'ottimismo del sindaco con la valigia (aperta) per una strada asfaltata.

Ma se Marino è in piena campagna di autopromozione - oggi i suoi sostenitori hanno organizzato una manifestazione sotto il Campidoglio - il Pd è fermamente deciso a cacciarlo via, con le buone o con le cattive.

Già pronta la lettera «congiunta» da far firmare ai consiglieri dem in caso la tenzone andasse risolta in Aula Giulio Cesare. La missiva va nella direzione opposta ai desiderata di Marino, che dal Nazareno vorrebbe un riconoscimento politico, per lasciare con l'onore delle armi. Il documento, invece, lo tratteggia come «incapace» di gestire Roma. Una sorta di posizione ufficiale per parare il colpo di un finale pubblico nel quale il sindaco potrebbe riservare più di un colpo basso agli ormai ex alleati, pronti a votargli contro insieme alle opposizioni.

Se Orfini e Renzi non commentano il cambio di rotta di Marino, altri dem si occupano della questione. Ieri Pucci, assessore con delega al Giubileo, ha spiegato che l'eventualità di un ritiro delle dimissioni del primo cittadino «allo stato attuale non è all'ordine del giorno». Che il Pd non valuti possibile un ripensamento di Marino lo ripete anche il vicepresidente del partito, Lorenzo Guerini

Impietosa, infine, la lettura sul «grottesco spettacolo» dell'ex assessore all'Urbanistica della Roma veltroniana, Roberto Morassut.

Che, sull' Unità , invita Marino a «prendere atto» che l'esperienza è conclusa, ma spara anche sul Pd: «Ha perso il contatto con la città abbandonandosi a una vita interna segnata da una competizione di puro potere e senza idee».

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