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«Dio non è come Allah: alcuni dei suoi seguaci teorizzano la violenza»

L'arcivescovo di Ferrara non usa mezzi termini: «Nessuna pietà per chi non aderisce al credo musulmano. Noi cristiani siamo più tolleranti»

«Dio non è come Allah: alcuni dei suoi seguaci teorizzano la violenza»

FerraraL'Islam è un'ideologia di origine teocratica, che trasforma la religione in strumento del regno».

Parole chiare quelle di Sua Eccellenza Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara e Comacchio. Non c'era da dubitarne. La scorsa estate, alla vigilia di Ferragosto, festa dell'Assunta durante la quale si sarebbe pregato per la pace in Medio Oriente, Negri aveva fatto affiggere sulla facciata dell'arcivescovado il simbolo dei cristiani perseguitati dagli islamisti iracheni.

Il marchio rappresentava «l'iniziale della parola Nassarah (Nazzareno), il termine con cui il Corano individua i seguaci di Gesù di Nazareth - che viene imposto dalle milizie dell'autoproclamatosi califfo al-Baghdadi agli infedeli-cristiani per i quali non c'è posto nello Stato islamico dell'Iraq e del Levante a meno che si convertano».

In questa intervista l'arcivescovo di Ferrara ha accettato di parlare delle radici religiose della violenza che ha insanguinato le strade di Parigi.

In questi giorni si ripetono accuse nei confronti delle religioni come fossero tutte causa di violenza, morte e carneficine. È corretto o sono necessari dei distinguo?

«Sono più che necessari. Per la conoscenza che ho delle grandi religioni occidentali e asiatiche, la violenza non è nelle teorie ma è un fatto comportamentale. Più facilmente, come ha mostrato la storia del Novecento, è l'ideologia condita di ateismo, a produrre violenza. Perché si vuole piegare al proprio credo chi lo rifiuta. Fatta questa precisazione, l'unica religione che tematizza la violenza come direttiva teorica e pratica è l'Islam. Ma qui si apre un'altra riflessione. Nella sua essenza l'Islam è un'ideologia di origine teocratica, che rende quindi la religione strumento del regno».

Una religione che divide il mondo in fedeli e infedeli?

«Alle religioni nelle quali la violenza è teorizzata e indicata come atto pratico ci si deve opporre con nettezza».

Anche i cristiani, storicamente, sono stati violenti usando la fede come strumento di dominio.

«Questo è un fatto storico. I cristiani hanno potuto essere violenti, anche se non credo nelle dimensioni nelle quali viene spesso narrato, perché hanno assunto le modalità di espressione e di comportamento del loro tempo. Di suo, il cristianesimo non è violento».

Quindi tra Allah e Dio c'è differenza in rapporto all'uso della violenza.

«La violenza nell'Islam ha tutt'altra natura perché è intollerante verso chi non aderisce al credo musulmano. Noi cristiani siamo esortati dalla tradizione della Chiesa e dal magistero papale a non far prevalere i nostri istinti sulla dottrina».

Non crede all'esistenza dell'Islam moderato?

«Credo nella natura umana animata, secondo sant'Agostino, dal desiderio di bellezza, verità, bontà. Più che nel prevalere dell'Islam moderato confido nell'emergere di questo umanesimo comune a tutti: cristiani, musulmani e appartenenti a tutte le confessioni religiose. La ricerca di questa bontà e benevolenza è la base per un rapporto corretto e ragionevole anche con l'Islam».

Anche di fronte alla sacralità della vita ci sono atteggiamenti diversi?

«I cristiani rintracciano le ragioni del rispetto della vita in questo umanesimo. Spero che prevalga anche tra i musulmani rispetto a certe formulazioni ideologiche che ritroviamo nell'Islam».

Perché sui simboli religiosi cristiani si può scherzare mentre Maometto non può essere fatto oggetto di ironia?

«Se per ironia s'intende la consapevolezza della differenza tra dottrina e modalità con cui viene conosciuta e comunicata, ben venga. Senza ironia la vita diventa insopportabile. Se invece significa disprezzo per i contenuti della fede, allora non ci sto. Nella cultura islamica non esiste la possibilità di ironizzare su certi eccessi dei credenti.

Invece, nel mondo cattolico l'autoironia dei cristiani è segno di adesione matura».

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