Roma - Dai gufi ai «sabotatori». Ai vertici del Pd la consegna di ostentare sicurezza è riuscita malino. L'emorragia di consensi rispetto alle europee è chiara: mancherebbero all'appello due milioni di voti. Chiaro anche l'altro messaggio mandato dagli elettori: vincono solo i candidati più lontani da Matteo Renzi.
Dopo la rottamazione, insomma, a sinistra c'è un accenno di restaurazione che ha risvegliato i fan della vecchia ditta e fatto perdere la pazienza ai renziani di stretta osservanza. Il vicecapogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato è uno di questi. Per lui ci sono responsabilità precise. «Un pezzo di fuoriusciti dal Pd ha lavorato per farci perdere». Accusa diretta a Beppe Civati e Sergio Cofferati, indicati come responsabili della sconfitta ligure di Raffaella Paita. Che è stata sponsorizzata fin dall'inizio dal premier. Così come Alessandra Moretti, che ha riconosciuto la sconfitta in Veneto: «Abbiamo perso male». Renzi ha chiamato Paita, ma non Emiliano, che ormai è percepito come l'unica alternativa a Renzi nel Pd. Perché ha vinto senza problemi e segue un progetto di sinistra-sinistra, lontano da quello del segretario: «Il Pd e il M5S sono le uniche forze politiche di reale cambiamento», ha ribadito ieri il governatore della Puglia.
I fan del vecchio partito si sono ritrovati con molti argomenti da spendere contro Renzi. Alfredo D'Attorre, bersaniano Doc, ha snocciolato dati per smontare la tesi del vicesegretario del partito Lorenzo Guerini, secondo il quale «il trend della segreteria Renzi di conquista delle regioni viene confermato». D'Attorre spiega che «il Pd perde circa la metà dei voti rispetto alle ultime europee: 4 milioni e 200mila di allora, rispetto ai circa due milioni di oggi». Rispetto alle regionali dell'era Bersani «i voti erano stati due milioni e 680 mila. Oggi sono 2 milioni e 125 mila e il Pd torna al livello del 25%. Rispetto alle politiche manca circa un milione di voti». Per concludere con un duro attacco al segretario Renzi e al presidente Matteo Orfini, che durante la notte elettorale si dilettavano con la playstation: «È ora di mettere via i videogiochi». Una cronaca della sconfitta che sa molto di inizio di un'offensiva interna. Nuovi assetti nel Pd? «Si discute ma poi si decide. Non ci siamo mai sottratti», spiega Guerini.
Da capire da che parte starà Vincenzo De Luca, sgradito a Renzi in una prima fase, e poi sostenuto dalla segreteria democratica. Ora il vicesegretario conferma che il partito «crede assolutamente alla giunta De Luca». Poi l'Umbria. Regione rossa dove la popolarità del Pd è in caduta libera, ma che ha riconfermato Catiuscia Marini, appoggiata da Renzi, ma non una renziana. Perché il vero vincitore è l'astensionismo. Come era già successo in Emilia Romagna, c'è chi «non si riconosce nella trasformazione che Renzi ha impresso al Pd», ha spiegato il bersaniano Miguel Gotor. Tradotto: la ditta è viva, gli azionisti di maggioranza non sono contenti e Renzi dovrà tenerne conto.
Lo stesso concetto espresso da Rosy Bindi, secondo la quale «un bravo segretario e un bravo premier dovrebbe anche confrontarsi sui problemi emersi dal voto: astensionismo, emorragia di consensi e crescita della Lega». Ma la presidente dell'Antimafia è tornata alla carica sul caso «impresentabili» ha anche chiesto le scuse del Pd: «Ritengo di aver diritto a un risarcimento. Su De Luca ha sbagliato il mio partito».
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