Il Dna è di Bossetti? "Manca la certezza" Il dubbio può salvarlo

I legali del muratore in aula tentano di demolire il teorema accusatorio: "Non ci sono prove ma suggestioni"

Il Dna è di Bossetti? "Manca la certezza" Il dubbio può salvarlo

In cella si depila, di giorno s'abbronza nelle ore d'aria, di notte inganna il tempo (e la moglie) vergando lettere d'amore farcite d'eros a Gina, la detenuta che lo fa sognare.

Massimo Bossetti ormai non è un inedito. Di lui si sa tutto. La sua vita, passata e presente, frugata, scandagliata setacciata. La sua e quella della famiglia. Dai segreti inconfessabili della madre alle pieghe recondite della sua sfera sessuale. Si conosce tutto o quasi, tutto tranne la cosa più importante. Quella per cui da ormai quasi due anni si ritrova detenuto: è davvero lui l'assassino di Yara Gambirasio?

Per l'accusa, che una settimana fa ne ha chiesto l'ergastolo, sicuramente sì. Per la difesa assolutamente no. Non ci potrà essere una verità di mezzo, in fondo a decidere del destino dell'enigmatico muratore di Mapello - uno di quei personaggi difficili da far risultare simpatici persino agli «amici» - ci potrebbe essere solo il dubbio. Ecco la speranza, l'obbiettivo, l'ultima e unica vera cartuccia che arma i suoi legali. Instillare negli otto giudici della corte d'Assise - due togati il resto popolari - l'incertezza. Il codice penale, articolo 533, recita: la colpevolezza va accertata al di là di ogni ragionevole dubbio. Ed è ciò che ribadiscono in aula, nella loro arringa, i difensori di «Ignoto 1». Ieri hanno passato la giornata cercando di mettere in discussione l'architrave dell'impianto accusatorio. Ovvero il Dna, quelle tracce quasi infinitesimali ritrovate dagli esperti di laboratorio sugli slip della vittima. La prova regina che incastra il carpentiere, secondo la pm Letizia Ruggeri; un elemento equivoco, invece, per i difensori dell'imputato. Un elemento su cui, oggettivamente, si riscontra un'incongruenza: il Dna mitocondriale (quello che identifica la linea di ascendenza materna) non corrisponde a quello dell'imputato. Un'anomalia, comunque, riconosciuta dall'accusa, che ha sempre ribadito «non inficia il quadro probatorio». Il Dna nucleare, infatti, corrisponde infatti a quello di Bossetti e sarebbe l'unico ad avere valore forense.

Ma i difensori contrattaccano: «Non ci si può affidare completamente alla scienza perché la scienza non si ferma, con buona pace di chi credeva la terra piatta». Non l'unico punto messo in discussione, ieri. Claudio Salvagni, uno dei due avvocati del muratore, allarga la strategia. Un'operazione inversamente proporzionale a quella dell'accusa: sbiadire l'immagine tratteggiata e ricalcata dagli investigatori. Insomma Bossetti non bugiardo, non traditore, neppure un uomo con «particolari» gusti sessuali. Tantomeno un assassino. «Suggestioni», la parola ripetuta in aula da Salvagni. «Non abbiamo bisogno di queste, ma di certezze», attacca il legale. Se l'unica certezza sulla morte della 13enne di Brembate è che il corpo «è stato sicuramente rimaneggiato, il resto è una marea di dubbi». La vittima non «è morta nel prato incolto di Chignolo». Per Salvagni «è suggestivo» sostenere che 15 giorni dopo il delitto di Yara, Bossetti abbia comprato un metro cubo di sabbia per coprire il cadavere. «È una follia pensare che sia tornato li con il rischio di restare impantanato nel campo. Così come tirare fuori eventuali amanti per costruire l'immagine di «sex offender». «Nella sua vita, che è stata scandagliata, non è stata trovata un'amante ma abbiamo bisogno che quest'uomo diventi perverso in tutto e per tutto». Invece «è innocente».

Dietro al banco degli imputati due occhi azzurri, all'improvviso si velano. Sono lacrime quelle che scorrono sul volto tirato di Bossetti fino a quel momento quasi impassibile.

Piange ascoltando Paolo Camporini (l'altro difensore), che parla della sua famiglia. Della moglie Marita, dei loro tre figli, del tran tran quotidiano. Accanto a lui la moglie. L'unica capace di perdonarlo. A dispetto di tutto e di tutti.

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