Una cascata di punti esclamativi. Stefano Gabbana twitta la propria felicità: «Eravamo certi!!! Siamo delle persone oneste!!! W l'Italia». L'incubo è finito: Stefano Gabbana e il suo socio storico Domenico Dolce vengono assolti dall'accusa di omessa dichiarazione dei redditi. É la cassazione, con un verdetto tranchant, tecnicamente un annullamento senza rinvio, a scrivere i titoli di coda dei loro tormenti: la Suprema corte cancella la condanna a 1 anno e 6 mesi perchè il fatto non sussiste.
Si chiude così, con la vittoria dei due stilisti, un contenzioso che la dice lunga sulla complessità o meglio sulla tortuosità delle leggi tricolori e sulle mille sottigliezze di una materia sensibile come quella fiscale. Tirata da una parte e dall'altra, oggetto di mille interpretazioni e faticosissimi distinguo. Secondo l'accusa la celebre coppia della moda aveva creato una società in Lussemburgo, la Gado, col solo scopo di pagare meno tasse ma in realtà la Gado sarebbe stata amministrata in Italia. Lo scherzetto avrebbe fruttato ai signori della moda una montagna di soldi, permettendo loro di risparmiare tasse per un imponibile di 200 milioni. In primo grado Dolce e Gabbana erano stati condannati a 1 anno e 8 mesi, pena limata in appello a 1 anno e 6 mesi. Ma già in secondo grado si era capito che le vie del fisco e della giustizia italiana sono infinite e contraddittorie: il sostituto procuratore generale Gaetano Santamaria, insomma il rappresentante dell'accusa, aveva chiesto a sorpresa l'assoluzione dei due. E l'aveva fatto con parole forti. Aveva definito il trasloco «un'operazione lecita». Aggiungendo che il gruppo ha agito «come si conviene ad un'impresa moderna». Poi aveva allungato una stoccata polemica: «Come cittadino contribuente italiano posso indispettirmi e magari sono contento che la Finanza accenda un faro e allora posso aspettarmi l'intervento su Marchionne e sulla Fiat quando trasferiranno la sede legale in Olanda. Ma come operatore del diritto - questa la sua conclusione - devo dire che si tratta di operazioni legittime».
Niente da fare. Anche la corte d'appello aveva ritenuto illecito il passaggio, classificandolo alla voce esterovestizione. Intanto, era esplosa la polemica furibonda fra i due stilisti e il Comune di Milano. L'assessore Luigi D'Alfonso aveva loro negato gli spazi comunali schiaffeggiandoli pubblicamente: «Non abbiamo bisogno di farci rappresentare da evasori fiscali». Risultato. I negozi del gruppo in città avevano abbassato le saracinesche per tre giorni in segno di «sdegno». Insomma, Dolce e Gabbana avevano scioperato contro il Comune di Milano, innescando reazioni a non finire. E avevano anche allegato, a smentire le incaute affermazioni dell'assessore, le dichiarazioni dei redditi relative al 2005, «prima che fossimo aggrediti dal fisco». Così si era scoperto che i due presunti evasori erano fra i primi contribuenti di Milano con cifre a loro modo impressionanti: 12 milioni e 760.598 euro per Dolce, solo qualche spicciolo in meno per Gabbana.
Ora, nell'Italia delle mille sorprese, ecco il colpo di scena. L'ennesimo ma definitivo: la Cassazione azzera la condanna. Ed elimina pure l'obolo destinato come provvisionale all'Agenzia delle entrate: 500 mila euro. L'avvocato Massimo Dinoia può cantare vittoria: «Siamo soddisfattissimi. Abbiamo avuto ragione su tutta la linea». In effetti cadono quasi tutti i capisaldi del processo. Viene assolto anche il commercialista Luciano Patelli, che secondo l'accusa era l'ideatore di tutta la struttura, e con lui pure i manager Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni. Più sfumata invece la posizione di Alfonso Dolce, dirigente del gruppo e fratello dello stilista: parte delle contestazioni evapora per prescrizione, per il resto si profila un processo d'appello bis. Ma il destino del nuovo procedimento è segnato: la prescrizione scatterà inesorabile il prossimo 1 novembre. Fra pochi giorni. Game over, dunque.
Ora Dolce festeggia su Twitter. E il suo messaggio finisce con l'hashtag «orgoglioso di essere italiano».
Resta, a dispetto
del lieto fine, lo sconcerto per una vicenda giudiziaria così incerta e infiammata. Tutta curve e tornanti. Non è di questa incertezza che hanno bisogno i nostri imprenditori, già alle prese con una crisi interminabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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