Isis-Libia batte Italia due a zero. La secca sconfitta incassata nel primo confronto con la variante libica dello Stato Islamico riguarda, fortunatamente, soltanto il versante mediatico. Ma è altrettanto sconfortante. Anche perché è la conseguenza di un doppio autogol messo a segno non da due fantaccini qualunque, ma da due ministri.
Il primo a non controllare la palla in fase difensiva è il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Chiamato a commentare la parziale caduta di Sirte nelle mani di qualche centinaio di militanti del Califfato scesi da Derna, il ministro s'improvvisa generale ed evoca l'immagine di un'Italia pronta a combattere. L'evocazione, assolutamente improvvisata, contiene almeno cinque madornali errori di comunicazione. Il primo è attribuire a quelle avanguardie, arrivate a Sirte non con la forza delle armi, ma grazie ad accordi con Ansar Al Sharia e altre milizie del posto, un'importanza militare non adeguata alla loro effettiva consistenza. Il secondo errore, conseguenza del primo, sta nel trasformare un'organizzazione terroristica in un nemico alla pari capace di costringere alla mobilitazione bellica un paese come l'Italia. Il terzo sbaglio è quello di contribuire, rivolgendosi ai media - anziché alle sedi istituzionali, come il Parlamento - alla diffusione di una notizia assolutamente falsa. Soprattutto perché al momento delle dichiarazioni di Gentiloni non esistono le premesse politiche per un intervento militare. La quarta cantonata sta nell'amplificare l'insicurezza di un'opinione pubblica che, in quelle ore fa già i conti con le indiscrezioni sull'imminente evacuazione degli italiani dalla Libia. Il quinto passo falso - il peggiore fra quelli inanellati dal ministro - è l'evidente sottovalutazione delle capacità mediatiche di un Califfato che da mesi sorprende, stupisce e terrorizza l'Occidente. E così, poche ore dopo, un'emittente del Califfato di Mosul usa le improvvide dichiarazioni belliche di Gentiloni per cucirgli addosso l'immagine di «ministro crociato», capofila di una possibile invasione straniera. Con quella scarna, ma efficace dichiarazione il Califfato fa leva sul nazionalismo libico e trasforma le proprie avanguardie di Derna e Sirte nella spada dell'Islam: capaci, come già il defunto Gheddafi, di ergersi a paladine di una Libia aggredita dall'invasore infedele. Grazie a quei cinque passi falsi in area di rigore Gentiloni regala, insomma, il primo autogol al nemico. A far peggio del terzino Gentiloni arriva subito dopo il mediano Roberta Pinotti. Entrata in area di rigore per vendicare il collega, non trova di meglio che rafforzare la falsa notizia dell'imminente impegno militare dichiarando di aver già pronti 5000 uomini. Al pari del collega neppure il ministro della Difesa realizza di fare il gioco di un'organizzazione terroristica maestra nel seminare il panico tra le opinioni pubbliche occidentali. L'asso di picche, nascosto nella manica dei terroristi, è stavolta il filmato sulla decapitazione - già avvenuta, ma non ancora resa pubblica - dei 21 cristiani copti. Quelle immagini - diffuse mentre la nostra ambasciata chiude i battenti e i connazionali in fuga s'imbarcano su una catamarano in partenza da Tripoli - sono un vero colpo di grazia al morale dell'italiano medio. Per molti dei nostri connazionali l'orrore di quei cristiani - decapitati sul bagnasciuga mentre l'altra sponda di un Mediterraneo «mare nostrum» si tinge di sangue - diventa l'anticipazione del possibile destino riservato ai militari che la Pinotti dichiara di voler far partire. E così mentre l'Italia trema, il Califfato conquista la scena.
Due a zero e palla al centro. Sperando nei tempi supplementari. E soprattutto nella futura preventiva accensione del cervello. Un accessorio indispensabile tanto quanto la lingua. Soprattutto sul fronte della guerra mediatica.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.