La richiesta, da parte di una associazione islamica, che le nostre insegnanti indossino il velo a scuola durante le lezioni è, metaforicamente, la prima fetta di quel salame che è la nostra identità culturale. Se vi si aderisse, una fetta dopo l'altra, l'islamismo si mangerebbe l'intero salame, cioè quanto resta della nostra identità culturale, e l'Italia si trasformerebbe in uno Stato islamico. Una regressione rispetto all'uscita, cinquecento anni fa, dal Medio Evo.
La richiesta, che, sotto tale prospettiva e la parvenza di una sollecitazione democratica e liberale, è in se stessa alquanto anomala, va dunque respinta. Un conto è accettare il multiculturalismo che caratterizza le società dell'Occidente democratico-liberali nell'era della globalizzazione; un altro sarebbe l'assoggettamento a pratiche e usanze che sono del tutto estranee rispetto al laicismo del nostro modo di vivere e di rapportarsi alla religione, compresa quella cattolica. Sarebbe francamente singolare che - dopo aver sanzionato, con l'Illuminismo, l'uscita dal Medio Evo e la nascita dello Stato moderno, la separazione fra religione, politica, costume nei confronti del cattolicesimo - si accettasse di fatto il primato di un costume e di pratiche proprie di una religione che, oltre tutto, ci è storicamente e culturalmente estranea. La stessa presenza del crocefisso nelle aule scolastiche e in altri uffici pubblici - spesso stigmatizzata in nome di un malinteso ultra-democratismo -, non è certamente offensiva per chi professa religioni diverse dalla cattolica. È uno dei simboli, e neppure quello più qualificante, della nostra tradizione. Poiché nessuno obbliga uno studente islamico, o di qualsiasi altra religione, ad aderire al cattolicesimo e la presenza del crocefisso non è una violenza rispetto ad altre credenze, non si vede perché i cattolici dovrebbero accogliere e accettare pratiche che, oltre tutto, contraddirebbero la nostra storia e sarebbero una violenza per le nostre stesse tradizioni.
La questione non pone il problema dei nostri rapporti con l'islamismo - che sono regolati dalla natura laica e liberale dello Stato - ma il problema fra una concezione irragionevolmente permissiva, cosiddetta «buonista», in nome di un egualitarismo democratico privo di senso, che si è andata sviluppando nella nostra cultura politica e civile, soprattutto da parte di una certa sinistra, e la difesa della nostra identità culturale. Forse, è il caso di ricordare che le società più aperte alla presenza e alla tolleranza di culture diverse dalla loro sono proprio quelle che hanno una forte identità culturale, consolidate tradizioni e non temono di manifestarle. Sarebbe ora di smetterla di manifestare una sorta di buonismo che è unicamente una forma di cedimento ad ogni alternativa rispetto ai nostri costumi.
Un altro esempio sono le polemiche di questi giorni, nei confronti di chi ha sostenuto il carattere tradizionale della famiglia, costituita da un maschio e da una femmina, in nome di una
malintesa liberalità verso l'omosessualità. È una gran coglionata proprio perché, nello Stato moderno e laico, ciascuno ha la libertà di manifestare liberamente le proprie preferenze sessuali.piero.ostellino@ilgiornale.it
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