La borghesia nazionale - tanto per intenderci, l'erede del Terzo Stato, quella che, sulla fine del Settecento, ha dato all'umanità democrazia e Stato moderno - è felice, e non lo nasconde, perché, con Renzi al governo, nella classe politica non ci sono più Bersani e la signora Bindi e perché, forse (forse) Renzi farà - pare lo si possa dedurre dalle molte parole con le quali ha sommerso il Paese, anche se, del cambiamento promesso, non se ne vedono le tracce - quello che avrebbero dovuto fare, e non hanno fatto, Bersani e la Bindi. Dice il proverbio: chi si accontenta...
Ma, ora, chi vuole costruire un capannone, intraprendere un'attività imprenditoriale, risolvere una pratica professionale, lo può fare senza scontrarsi con tutti gli ostacoli burocratici che c'erano prima, con Bersani e la signora Bindi, e non dovrebbero essersi più ora che c'è Renzi? La verità è che gli ostacoli c'erano prima, perché Bersani, Bindi, e persino Berlusconi che era loro succeduto, non avevano delegiferato e deregolamentato, in una parola, modernizzato lo Stato, come avrebbero dovuto fare, e non lo ha fatto Renzi. Se il consenso al governo si fonda sull'ottimismo della speranza o di qualche illusione più di prima e, nel frattempo, non è cambiato nulla, forse, gli italiani dovrebbero prenderne realisticamente atto e rivedere, con speranze e illusioni, le ragioni non solo delle une e delle altre, ma anche, e soprattutto, della loro singolare felicità e del consenso che danno al governo. Non si vive, tanto meno si progredisce, di sole speranze e illusioni e meno ancora un consenso fondato sulle une e sulle altre è un fattore di cambiamento.
«L'Italia che cambia», non cambia affatto, malgrado il presidente del Consiglio ripeta volentieri - ahi, ahi, l'avevamo già sentito dire - che non lo fermeranno. Vorrei fosse chiaro. Io non ce l'ho col ragazzotto fiorentino che ci governa e che ha genialmente messo le qualità di cui dispone - furbizia, cinismo e una buona dose di faccia tosta - al posto di quella modernizzazione della quale il Paese ha, in realtà, bisogno. Se ce l'ho con qualcuno, ce l'ho con chi ancora lo ascolta, e ancora gli crede - provate a riassumere quello che dice, e vedrete che non ci riuscite - e si illude stia cambiando il Paese dei Bersani e della Bindi, come dice. A Renzi, io riconosco un merito: quello di cercare, almeno, di cambiare la cultura politica della sinistra, usando un linguaggio diverso. Ma i conti, in politica, si fanno con la «realtà effettuale», con i fatti, come già raccomandava Machiavelli; che pur viveva in un'epoca in cui il popolo dipendeva da sovrani assoluti che facevano quello che volevano. I conti non si fanno a chiacchiere, anche se le parole, in democrazia pur contano. Figuriamoci se non li si dovrebbero fare ora che al popolo sono attribuiti poteri analoghi a quelli dei sovrani assoluti dei tempi di Machiavelli. Ma il popolo conta davvero? - avevano denunciato l'inganno i pensatori liberali dell'Ottocento, teorizzando le contraddizioni fra democrazia e liberalismo e denunciandone i guasti - e quando conta finisce col comportarsi come i governanti della prima e della seconda Repubblica. Col far perdere tempo.
Parlarne ancora, vuol dire unicamente ripetere quello che Benjamin Constant e Alexis de Tocqueville avevano già scritto nell'Ottocento. Basta leggerli. Il resto, è tempo perso in un'Italia che non cambia mai, chiunque la governi...piero. ostellino@ilgiornale. it
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