L'ossessione per la giustizia finisce per uccidere la libertà

Fra i due valori c'è, concettualmente e di fatto, frizione, se non una certa incompatibilità e che l'imposizione di un tasso elevato di giustizia sociale provoca la fine della libertà e perciò del progresso, della crescita economica e persino sociale

L'ossessione per la giustizia finisce per uccidere la libertà

La società aperta già adombrata da Croce prima di Popper è conflittuale; non è pacificata. Vi alberga una quantità di ingiustizia sociale, di fatto, fisiologicamente accettabile perché l'ingiustizia è il motore del progresso, della crescita economica e persino umana, sociale. Sono la competizione, la concorrenza, persino il conflitto, che fanno crescere la società aperta, mentre sono le società totalitarie che soffocano la libertà in nome di una malintesa giustizia. Fra libertà e giustizia c'è frizione lo diceva ancora Croce e l'avrebbe ripetuto Popper - se non incompatibilità logica e naturale. L'imposizione, da parte del potere politico, di un certo tasso di giustizia sociale riduce la libertà e crea le condizioni dell'illibertà.

Con ciò non voglio dire che, da liberale, auspico l'ingiustizia sociale. Dico che fra i due valori c'è, concettualmente e di fatto, frizione, se non una certa incompatibilità e che l'imposizione di un tasso elevato di giustizia sociale provoca la fine della libertà e perciò del progresso, della crescita economica e persino sociale. Il comunismo realizzato ne è stato l'esempio storico. Non c'era libertà nei Paesi del comunismo reale e, tanto meno, giustizia sociale, perché la giustizia sociale si regge sulla libertà e non sopravive senza di essa. Se, in Italia, vogliamo restare un società aperta e libera, dobbiamo abbandonare l'utopia della giustizia sociale generalizzata e credere, come diceva Croce, nella libertà. Che è concorrenza, competizione, persino conflitto.

Siamo diventati, invece, la società dei diritti e tendiamo a trasformare ogni desiderio in diritto. Non c'è un diritto ad avere figli, né all'omosessualità; che sono fenomeni attinenti alla natura umana. In una società aperta, conflittuale, gli omosessuali si sono conquistati la loro libertà col conflitto e in punta d diritto, non perché tale diritto sia stato loro concesso autoritariamente dal potere politico. L'omosessualità è naturale - nel senso che è una condizione di natura esattamente come è l'eterosessualità. Non si impone per legge un fatto naturale. Lo si accetta e non lo si discrimina in nome della libertà di ciascuno di essere ciò che più gli pare. Sono personalmente contrario alla proliferazione di diritti e favorevole alla diffusione delle libertà.

Da Archimede, sappiamo che ciò che è naturale è spesso anche libero. Non stravolgiamo un principio filosofico e reale, negandogli autenticità per legge. Ho avuto due figli e so che non era mio diritto averli; ho alcuni amici omosessuali, che amo non in quanto tali, e non sosterrei mai il loro diritto ad esserlo, ma li amo e sono miei amici come esseri umani. Punto. Ritengo che ci portiamo appresso l'idea che ogni desiderio debba tramutarsi in diritto grazie ad una malintesa cultura egualitarista di sinistra, che ha letteralmente egemonizzato il principio di umanità distorcendolo oltre ogni ragionevole dubbio.

Sostenere che certe differenze sono naturali, non è indulgere nel razzismo, come è reputata una certa omofobia; è prendere atto che la natura non fa salti e ciò che ci appare innaturale in una certa fase storica e in certe condizioni sociali, non lo è in altre. Un certo margine di relativismo etico è fisiologico alla società aperta. Non dimentichiamolo perderemmo libertà a e giustizia se lo dimenticassimo

piero.ostellino@ilgiornale.it

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