Ieri a Caracas ci sono state due manifestazioni. Una a Las Mercedes dove il presidente costituzionale Juan Guaidó ha pronunciato un discorso destinato a segnare uno spartiacque nella crisi venezuelana. L'altra in Avenida Bolívar, dove Maduro, per riuscire a fare un po' di «massa» ha ordinato alla Guardia Nazionale Bolivariana di andare a prendere i manifestanti con «las perreras» - camion per raccogliere originariamente cani randagi ma che il regime usa adesso per trasportare persone. Nonostante la violenza degli sgherri governativi (soprattutto gli squadroni della morte del Faes), davanti a Guaidó ieri c'erano un milione di venezuelani che ha giurato di rimanere in strada sino a quando non cesserà la dittatura, alcuni dei quali con il nostro tricolore in segno di protesta contro il mancato riconoscimento dell'Italia. A sentire Maduro, invece, erano non più di 50mila. Certo, Vtv, la televisione statale diventata l'house organ del dittatore, ha fatto le solite inquadrature strette per far credere agli allocchi che la farsa del 20 maggio 2018 con cui Maduro usurpa il potere dal 10 gennaio scorso sono state elezioni. Il problema è che né la legge, né il popolo sono oramai più con il dittatore, come dimostra un sondaggio di Metanálisis secondo il quale oggi solo il 4,1% dei venezuelani riconosce Maduro, contro un 86,4% a favore di Guaidó. In compenso c'è l'Italia di Conte, ringraziata dallo stesso dittatore per averlo riconosciuto insieme a paesi del livello democratico di Cuba. Cosa che ha scatenato la reazione del sottosegretario agli Esteri della Lega, Gugliemo Picchi, che ha invitato il dittatore a «lasciare subito», differenziandosi dai leader dei 5 Stelle. Per la cronaca, Maduro ha anche annunciato elezioni anticipate, non però le presidenziali ma quelle per il Parlamento, ultima oasi istituzionale di libertà a Caracas. Una presa per i fondelli, l'ennesima.
Tralasciando le altre provocazioni del dittatore, nel suo discorso Guaidó ha invece prima ringraziato una deputata dei comunisti Tupamaros presente sul suo palco giusto a conferma che l'ideologia qui c'entra nulla la quale, nonostante le minacce di morte del regime, ieri si è dissociata dalla dittatura. Poi si è appellato ai chavisti affinché, delusi dalla rivoluzione, si schierino dalla sua parte, ringraziandoli mentre la folla gridava «unione, unione». «Grazie anche a un generale» che, sempre ieri, ha dichiarato in video di non volere più sparare sul suo popolo e che il 90% delle Forze armate sono ormai contro il regime. «Qualsiasi funzionario che si schieri dalla parte della Costituzione è il benvenuto» ha ribadito il presidente. Infine ha annunciato la notizia destinata a fare storia, ovvero, che è pronta «una coalizione globale per gli aiuti umanitari in Venezuela. Abbiamo già tre punti di raccolta: il primo a Cúcuta, in Colombia (la Lampedusa terreste da cui sono passati oltre un milione di venezuelani in fuga dalla fame, ndr), un altro in Brasile e l'ultimo su un'isola caraibica ed entrerà via mare». E mentre il Faes uccideva un altro ragazzo in una zona popolare della capitale con un colpo in testa per «dare l'esempio» nel cuore della notte, Guaidó spiegava che oggi ci sono tra «250mila e 300mila venezuelani a rischio di morte per malnutrizione e mancanza di farmaci».
E che la distribuzione di questo primo aiuto sarà destinata a loro. «Non c'è paura di una guerra civile ha concluso - perché il 90% del paese vuole un cambiamento. Nessuno in Venezuela è disposto a sacrificarsi per un dittatore che non offre alcun tipo di soluzione alla gente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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