«Colpa» dei medici lombardi? O piuttosto falla nei protocolli statali? I dati di Bergamo hanno riaperto la discussione sulla tardiva individuazione di casi Covid in Lombardia. L'Ats bergamasca, infatti, ha reso noto che fra novembre e gennaio - quindi prima della scoperta del «paziente 1» a Codogno - erano stati 110 i casi di polmoniti anomale riscontrate nell'ospedale di Alzano Lombardo, centro della Val Seriana fra i più colpiti dall'epidemia Covid.
La rivelazione ha ringalluzzito quanti a sinistra tengono alla narrazione di un disastro lombardo, una narrazione ormai affannata che punta su fantomatici «errori» o ritardi, o sottovalutazioni. Il Pd lombardo e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori si sono buttati senza esitazione su questa tesi. Ma non solo loro: anche la sottosegretaria alla salute Sandra Zampa ha chiamato in causa la Regione: «Le sentinelle dei territori non hanno fatto il loro dovere» ha detto, precisando di riferirsi alle «vecchie Asl». Zampa ha anche sottolineato come «già a dicembre, nelle acque reflue di questi territori iniziarono a comparire tracce di Covid». Chiaro il tentativo di scaricare tutto sui medici lombardi (peraltro quelli di Bergamo hanno lasciato i tavoli convocati per discutere della situazione sanitaria bergamasca).
Il quadro che emerge, però, è molto distante dalla narrazione del Pd. Intanto, le analisi dell'Iss hanno riguardato vari territori: i campioni erano stati prelevati il 18 dicembre a Torino e Milano e il 29 gennaio a Bologna. Ma soprattutto, i dati di Alzano, ammesso che quelli fossero casi Covid (lo proverebbe il test sierologico mirato) dimostrano le carenze dell'iniziativa statale più che gli errori della sanità lombarda, e per varie ragioni. In primo luogo, i dati Ats sono stati regolarmente trasmessi al ministero della Sanità, e questo lo ha fatto notare anche il capogruppo leghista in Regione, Roberto Anelli, che ad Alzano è stato sindaco per 9 anni. Proprio nei provvedimenti ministeriali, poi, si configura la falla che avrebbe impedito una più tempestiva individuazione dei primi casi Covid. Nel giro di 5 giorni, infatti, il ministero ha gennaio ha emanato due circolari, indirizzate alle Regioni, ai medici e ad altre istituzioni. Le circolari, con stesso oggetto (Polmonite da nuovo coronavirus in Cina) sono state emanate dalla direzione generale Prevenzione sanitaria e istruite in particolare dall'Ufficio 5 Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale. Non è un caso, visto che per la Costituzione (articolo 117) la profilassi internazionale è materia esclusiva dello Stato. La prima di queste circolari, il 22 gennaio, dà una «Definizione di caso provvisoria per la segnalazione», ed è molto ampia. Tale si considera «Una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio». Il 27 gennaio, una successiva circolare che aggiorna la definizione di caso, e lo fa «sulla base dell'evoluzione della situazione epidemiologica e delle conoscenze scientifiche disponibili». La definizione è più circoscritta e legata alla Cina: viene considerato «caso sospetto» solo quello di «una persona con infezione respiratoria acuta grave», senza un'altra eziologia e con «almeno una delle seguenti condizioni: «Storia di viaggi o residenza in aree a rischio della Cina nei 14 giorni precedenti l'insorgenza della sintomatologia»; oppure lavoro in ambiente sanitario».
Sulla base di questa definizione neanche Mattia, il paziente 1, avrebbe dovuto essere sottoposto al «tampone».
E infatti il tampone è stato fatto violando queste raccomandazioni. Per questo il governatore Attilio Fontana, letti i dati di Alzano e le reazioni, ha ribadito: «I medici hanno fatto il loro dovere, i protocolli erano sbagliati».
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