E in Aula la maggioranza annaspa: testo rinviato

Numeri ballerini e malcontento interno al Pd, la discussione in Senato slitta a novembre

Roma Il capo del Nazareno se n'è lavato le mani, definitivamente, da settimane (c'è chi sospetta da mesi). Anche se ancora ieri, in un'intervista radiofonica, giocava a fare l'impegnato. «Lo ius soli - diceva Matteo Renzi a Massimo Giannini - è un elemento di garanzia. Gentiloni e il Cdm decideranno se mettere o meno la fiducia. Avete scritto che c'è un desiderio del Pd e del suo segretario di mettere in difficoltà il presidente del Consiglio. Io so che non è così. Noi siamo al suo fianco, sosterremo la sua decisione».

Ma lo scaricabarile che ben testimonia lo stato dell'arte per una delle leggi più controverse della legislatura ora s'interseca pure con i tempi parlamentari, la mancanza di una maggioranza in Senato e, soprattutto, le lotte di potere all'interno del Pd. Anche tra i quadri e la base del partito cova il malcontento, specie in periferia, per una legge che rischia di tramutarsi in boomerang durante la campagna elettorale. Il premier Paolo Gentiloni, che pure aveva ribadito una decina di giorni fa al meeting di Cl a Rimini che «lo ius soli è una legge da fare, una legge di civiltà», si va oramai convincendo che soprassedere sia l'unica scelta saggia. Sia per l'impossibilità di una maggioranza certa, sia per i sospetti su Renzi e la sua «mina a scoppio ritardato» sul cammino della manovra e di una leadership alternativa alla sua. Ecco perché il tutto dovrebbe essere rinviato a dopo le elezioni siciliane o all'approvazione della manovra, quindi a novembre o forse dicembre. Data che non assicura affatto - anzi decreta probabilmente la parola fine - all'idea di allargare le maglie nella concessione del diritto di cittadinanza agli stranieri.

Oggi alla capigruppo di Palazzo Madama chiamata a districare la complicata gestione del calendario saranno chiarite posizioni e mosse sulla scacchiera. Sembra scontato il rinvio. La discussione in aula, dicono fonti del Pd, potrebbe essere posticipata a dopo il voto che richiede l'asticella dei 161 «sì» sulla lettera del governo al Parlamento in cui, in base al nuovo articolo 81 della Costituzione, si chiede l'autorizzazione allo scostamento di medio termine dal deficit. Così, se almeno a parole il Pd resta fermamente intenzionato a portare avanti la battaglia che può assicurare un bel serbatoio futuro di voti la stretta finale verrà rimandata ad altro momento: un tentativo si potrebbe fare, ragionano altri parlamentari pidì, subito dopo l'approvazione della legge di Stabilità, quando approderà alla Camera.

Ma forzare la mano, alimentando tensioni al Senato prima dei voti decisivi legati alla ripresa economica del Paese, non conviene a nessuno. In particolarre ai centristi, che hanno un problema in più rispetto alla legge che metteva in difficoltà fortissima Ap anche in Sicilia. Pare perciò che il rinvio sia stata anche una precisa richiesta di Alfano nel suo patto sicialiano con Renzi. E ieri, in un partito in via di sfaldamento, è saltata una riunione dell'ala lombarda, frantumata anch'essa tra chi vuole uscire e chi restare (Lupi). Lo «ius soli» sarebbe un'altro dei rospi impossibili da digerire. «Occorre rinviare le leggi decisive», consigliava ieri anche il presidente della commissione Lavoro, Maurizio Sacconi.

Sull'altro versante, è pronta alle barricate la sinistra. «Rimandare sarebbe una resa», dice la capogruppo dei bersaniani, Guerra. Civati, leader di Possibile, parteciperà a un sit-in per chiedere l'approvazione del ddl entro settembre, «come promesso dal Pd».

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