E i colombiani dicono «no» all'accordo di pace con le Farc

A sorpresa non passa la consultazione popolare Pesano le troppe concessioni alle forze rivoluzionarie

Paolo Manzo

Nonostante tutti i sondaggi della vigilia dessero la vittoria del Sì per certa, con un margine del 25% sul No, alla fine la maggioranza dei colombiani l'altro ieri ha deciso l'esatto contrario, respingendo al mittente, ovvero al presidente Juan Manuel Santos, l'accordo di pace con le Farc, le Forze armate rivoluzionarie di Colombia. Certo, il No ha vinto per appena 60mila voti - per non dire dell'astensionismo sopra il 60% - ma al di là delle buone intenzioni di cui sono lastricate le vie dell'inferno, oggi il grande sconfitto è Santos.

Tanti e grossolani gli errori del presidente. Il primo è stato sottovalutare le atrocità commesse dalle Farc in 52 anni di guerra, ovvero 220mila morti, sei milioni tra sfollati interni e rifugiati all'estero - per l'ONU solo il Sudan fa peggio - decine di migliaia di bambini soldati reclutati a forza, per non dire dei massacri fatti nelle chiese e degli asini usati come autobombe. È evidente che la maggior parte dei colombiani non ha dimenticato tutto ciò e l'ha espresso democraticamente nel voto dell'altro ieri.

Altro errore di Santos è stato il volere - dopo 4 lunghi anni di negoziati in quel dell'Avana accelerare a dismisura i tempi del plebiscito, senza spiegare bene le 297 pagine di un accordo difficile da decifrare per il 90% dei giuristi internazionali, figurarsi per il popolo. Molto abile invece l'ex presidente Álvaro Uribe un tempo amico di Santos, oggi suo rivale a presentare il No agli accordi di pace come un rifiuto all'amnistia totale alle Farc per, magari, vedersi domani l'attuale leader della guerriglia, alias Timochenko, presidente della Colombia. Del resto di ex guerriglieri capi di stato l'America latina ne sa qualcosa.

Troppo poco il tempo intercorso tra il voto di domenica con il Sì appoggiato da tutti i grandi media e dai poteri forti, colombiani ed internazionali e la firma in pompa magna del 26 settembre scorso, in quel di Cartagena, con in prima fila il segretario di Stato Usa John Kerry, quello del Vaticano Pietro Parolin, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon e decine di altri leader planetari.

Tutti costretti ad ascoltare l'altezzosa «offerta di perdono» dall'alto di Timochenko, che per la cronaca non ha neanche umilmente «chiesto perdono» pur essendo un assassino condannato dai tribunali colombiani a quasi 500 anni di carcere per oltre 300 omicidi. Bene, sia lui che i suoi compagni responsabili di crimini contro l'umanità e genocidio, in base all'accordo voluto da Santos non avrebbero passato neanche un giorno in cella, di contro le Farc avrebbero avuto garantiti 10 seggi in Parlamento, una trentina di radio comunitarie oltre a finanziamenti milionari e lauti stipendi per due anni.

Dopo l'esito del voto, Timochenko ha ribadito di voler comunque lasciare le armi mentre Santos ha invitato a partecipare ai negoziati anche Uribe. Staremo a vedere se servirà affinché la Colombia possa finalmente firmare non una pace qualsiasi ma anche giusta ed accettata dal suo popolo.

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