Si è affermato come rottamatore, ma non ha esitato a mettersi insieme ai rottamati, si è indignato per i doppi incarichi degli altri ma in verità è da dieci anni che colleziona poltrone, ha detto a ripetizione che non era adatto a fare il segretario del partito per non entrare in collisione con il poco sereno «amico» Enrico Letta ma poi si è candidato, ha giurato che non voleva andare al governo senza prima passare dalle forche caudine del voto e, invece, ci è andato.
Matteo Renzi, ormai nove mesi fa, si è presentato come il nuovo della politica, come il nemico delle paludi romane, ma oggi non ha timori ad indossare le calosce e infilarcisi a tutta gamba. Si doveva opporre ai giochi di palazzo, agli inciuci, ai ribaltoni, ai rimpasti, alle assunzioni ad hoc , invece ne è diventato un fine artefice.
Dice che i riti «gli fanno venire l'orticaria» ma da febbraio ad oggi ha convocato la direzione del Pd ben 12 volte e i voti di verifica della fiducia parlamentare sono stati affibbiati in pratica ad ogni questione posta all'esame dell'aula. Vertici di maggioranza a raffica, tagli del nastro a manetta, manco fosse l'ultimo sindaco della Lunigiana: la nuova Piaggio, la Brebemi, la Philip Morris, la Variante di Valico con tanto di photo opportunity col bambino.
Voleva rappresentare il cambiamento ma ha messo in piedi il modo più stantio e vetusto di fare politica, praticando le solite alchimie che, a parole, aveva detto di voler combattere. Tutto intrighi di corridoio e congiure di palazzo, pur di fare le scarpe a gufi e nemici.
La rottamazione è stata per un po' una grande illusione, che però non ha funzionato, visto che il rottamatore si è messo d'accordo sia con i rottamati sia con i rottamandi. «Quando mi parlano di rimpasto mi prendono le bolle e torno a Firenze», disse Renzi nel febbraio scorso. Dopo un anno a Palazzo Chigi le strategie del sindaco d'Italia seguono i soliti riti già adottati dai dinosauri del passato. Se non altro per le modalità con le quali vengono messe in pratica, seguendo vecchie tattiche fatte di accordi e accordicchi di coalizione.
Snobba il Workshop Ambrosetti a Cernobbio perché «non mi considero un frequentatore di salotti», ma manda cinque dei suoi ministri e organizza cene di fundraising per il Pd da mille euro a cranio, alle quali invita tutto il gotha dell'industria italiana, compresi i protagonisti di Cernobbio. Se la prende coi poteri forti, con la casta, coi partiti, con le banche ma poi parlotta con loro, definisce intese, si fa sponsorizzare.
Nel 2011 Renzi era sindaco di Firenze, il più gradito d'Italia secondo la classifica del Sole24ore . Criticò il collega romano Gianni Alemanno: «Fa consultazioni con tutti, persino con i capigruppo delle Camere. Per me certe pratiche sono fuori dal mondo, mi vergognerei a farle. È un rito da forche caudine. Roba da old style , da Prima repubblica». Sembra passato un secolo.
Sono i componenti eletti della direzione del Pd, ai quali vanno aggiunti alcuni
membri di diritto quali il segretario, il tesoriere e i segretario regionali
Dal febbraio scorso, cioè dalla caduta del governo Letta, la direzione del Pd targato Matteo Renzi si è riunita dodici volte. Più di una volta al mese
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