E ora Matteo teme un referendum su di sé

Alle amministrative il Pd rischia il flop: è un test per la solidità del governo

E ora Matteo teme un referendum su di sé

Se anche l'Unità renziana si interroga se sia «finita la spinta propulsiva» della Leopolda, qualcosa che non va c'è. Certo la coincidenza astrale tra l'appuntamento clou del renzismo e lo scoppio del caso banche è stata particolarmente sfortunata, ma il fatto è che la Leopolda, ora che il suo inventore è a Palazzo Chigi, non ha più l'energia corsara e iconoclasta di prima, ed è diventata il parafulmine di tutti gli scontenti, gli oppositori, i malpancisti del paese. Da crogiolo del rinnovamento a simbolo del potere costituito cui dare addosso: in due anni, un totale ribaltamento di ruoli.Matteo Renzi lo sente e lo sa, quando sale in giacca e cravatta (niente jeans e camicia bianca, stavolta) sul podio per chiudere la tre giorni fiorentina, davanti alla platea strapiena. È il discorso conclusivo più difficile delle sei edizioni consecutive di quello che - pur appannato - resta uno dei più straordinari happening politici italiani. Ma col suo tipico spirito da bastian contrario, a chi si aspetta quasi una moratoria delle Leopolde replica con un rilancio: altro che pensionamento, il prossimo anno «dobbiamo organizzarne mille, di Leopolde, in tutta Italia». Panico in regia e in platea, poi il premier spiega: il prossimo anno occorre preparare «il referendum sulla riforma costituzionale», bisogna «andare ovunque e raccontare quel che abbiamo fatto, schiodare i cittadini dall'indifferenza perché questa riforma costituzionale segnerà la storia della legislatura e del mio governo». Renzi insomma sta preparando il secondo tempo del 2016, l'unico sul quale si sente di investire: sul primo tempo, quello delle elezioni amministrative, sa di poter scommettere poco, e quindi già allestisce la rivincita. Si voterà praticamente solo in città dove ha governato il centrosinistra, in molti casi (vedi Roma o Napoli) male, rendendo la partita quasi disperata. Là dove si è governato bene e c'è un potenziale candidato con ottime chance, come a Milano, è il centrosinistra medesimo a cercare il suicidio, dividendosi in incomprensibili guerre di religione tra Partito della Nazione e sinistra d'antan: un panorama disastrato e frammentato che rischia di produrre una batosta elettorale. Ecco quindi che Renzi si adopera, assai in anticipo, a spostare l'obiettivo: comunque vadano le comunali, sarà la consultazione sulle riforme ad essere il vero referendum pro o contro di lui.Sulle prospettive elettorali comunque rassicura i suoi: «Se si votasse oggi vinceremmo al primo turno, con percentuali superiori a quelle delle Europee. Lo dico perché ne sono convinto. A chi mi dice: Matteo, guarda i sondaggi, rispondo che i sondaggi sono superiori rispetto a quelli del giorno prima delle elezioni europee». E comunque, dice citando Tony Blair, «un leader vero non guarda i sondaggi, si impegna a cambiarli, avendo il coraggio di fare». Rianima l'orgoglio della Leopolda e chiama l'applauso ricordando che «partendo da qui dentro, abbiamo rovesciato il sistema politico più gerontocratico d'Europa, abbiamo dato stabilità al paese più instabile dell'Occidente. Abbiamo portato un partito politico ad essere il più votato d'Europa. E nessuno ci avrebbe scommesso un soldo, neanche io». Alla minoranza Pd che lo contesta accusandolo di lesa maestà della sinistra dedica poco più di un «marameo», e ricorda a chi lamenta che alla Leopolda non ci siano i simboli del Pd che «noi abbiamo vinto anche senza mettere qui le bandiere del Pd. Le abbiamo nel cuore, ma questo è uno spazio di libertà».

E poi, affonda, «quelli che mi chiedevano di mettere le bandiere nel frattempo dal Pd se ne sono andati altrove». E taglia corto con le polemiche: «Ma quale Partito della Nazione, qui c'è il partito della ragione, contro nichilismo e disfattismo».

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