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E poi c'è la colomba La rivincita di un dolce che si scopre gourmet

Piccola guida all'acquisto di un prodotto che vanta ottime interpretazioni artigianali

E poi c'è la colomba La rivincita di un dolce che si scopre gourmet

D iciamoci la verità: fino a qualche anno fa la colomba era un dolce non particolarmente pregiato: una sorta di panettone primaverile, di solito acquistato al supermercato solo per mangiare qualcosa di dolce a fine pasto (non sia mai che uno perda qualche caloria). Insomma, una tristezza con le ali. Poi negli ultimi anni la colomba ha beneficiato dell'effetto traino dello stesso panettone, diventato prodotto gourmet, realizzato con ingredienti di qualità e lievitazioni accorte dalle pasticcerie di tutta Italia. Oggi anche la colomba se la tira. E a giudicare dai risultati fa benissimo.

Ma prima di tutto che cos'è la colomba? Secondo la legge, o meglio il decreto interministeriale di tutela del 22 luglio 2005, si tratta di «un prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma irregolare ovale simile alla colomba, una struttura soffice ad alveolatura allungata, con glassatura superiore e una decorazione composta da granella di zucchero e almeno il 2 per cento di mandorle, riferito al prodotto finito e rilevato al momento della decorazione».

Di fatto esistono due macrocategorie di colombe: quelle industriali, prodotte dai principali marchi della pasticceria mainstream e venduta nei supermercati a prezzi tra i 5 e i 12 euro; e quelle artigianali, prodotte da laboratori più piccoli con cura più sartoriale e ingredienti di maggiore qualità. Per queste ultime è legittimo aspettarsi di spendere tra i 20 e i 40 euro. Tanto? Forse, ma ricorcate che la colomba, come il panettone, è un dolce di produzione assai lunga e difficile.

Naturalmente ci possono essere buone colombe industriali e deludenti colombe artigianali ma è chiaro che difficilmente le prime saranno ottime e le seconde pessime. Il prezzo, d'altronde, è sempre un buon indizio. Altri elementi da tenere in considerazione per fare una scelta accurata sono: la lettura dell'etichetta (non dovrebbero esserci conservanti, aromi artificiali, coloranti; la lista degli ingredienti deve essere corta; dovrebbe esserci il burro e non la margarina; dovrebbe esserci almeno il 4 per cento di uova; la data di produzione dovrebbe essere molto ravvicinata); uno sguardo - se si può - all'impasto, che deve essere giallo dorato, compatto, soffice, con alveoli regolari, e alla crosta, che deve essere ben attaccata all'impasto e ricca di mandorle; il packaging, che di solito è un buon indicatore di qualità, anche se bisogna diffidare dalle foto raramente corrispondenti al reale contenuto della confezione.

Poi magari qualche indicazione può essere utile. Ed ecco così le nostre scelte. Forse la migliore è quella di Vincenzo Tiri, pasticciere di Acerenza, che ha trasformato questo sperduto paesino del potentino in un luogo di pellegrinaggio di gourmet: fa 72 ore di lievitazione, è soffice e umida, ha la glassa croccante e color caffellatte che deriva dalla presenza di cacao, un profumo irresistibilmente agrumato. Poi consigliamo quella di Olivieri 1882 di Arzignano (Vicenza), soffice, raffinata, saporita e superdigeribile grazie alla lievitazione prolungata e agli ingredietni di primissima qualità. Ancora, quella realizzata da Claudio Gatti della pasticceria di Tabiano, che in realtà non può essere definita colomba (e infatti è definita «focaccia») per la ridotta presenza di materia grassa: quella ai dieci zuccheri naturali è un'esperienza quasi mistica. Poi c'è la colomba tradizionale della pasticceria De Vivo a Pompei, frutto di 36 ore di lievitazione e con lievito madre e mandorle di Bari. E che ne sono anche sei ispirate alla Campania. Notevole anche quella di Vincente Delicacies a Bronte, nel catanese, arricchite dai migliori pistacchi siciliani (la Fastuca): notevole quella con pesca, cioccolato fondente e appunto pistacchio.

E poi, per la serie «famolo strano» ecco la colomba in vasocottura della d&g patisserie di Selvazzano Dentro (Padova): la tecnica particolare la rende morbidissia, quasi bagnata, e ne permette la conservazione fino a tre anni. Ma chi riesce ad aspettare?

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