È probabile che Matteo Salvini abbia infine compreso di averla sparata grossa. E questo spiegherebbe la repentina frenata della Lega che ieri si è ritirata in buon ordine da tutti i fronti caldi aperti con Forza Italia. Il primo è la cosiddetta norma salva Mediaset (il Carroccio ha tolto dalle pregiudiziali di costituzionalità al dl Covid il riferimento all'azienda di Cologno Monzese), il secondo la mozione di sfiducia all'assessore alla Sanità lombardo Giulio Gallera (che la Lega assicura di non appoggiare, anche se il problema sarà il voto segreto). Due segnali distensivi che hanno sancito una tregua tutt'altro che solida. E, probabilmente, neanche troppo duratura.
L'affondo di Salvini, infatti, giovedì scorso è arrivato Oltralpe - dove Berlusconi è ospite in Provenza a casa della figlia Marina ormai da quasi un mese - come un fulmine a ciel sereno. Perché una cosa è criticare legittimamente la norma su Mediaset e mettersi di traverso in Commissione oppure esprimere contrarietà al dialogo sulla legge di Bilancio, altra è decidere scientificamente e con preordinazione di colpire direttamente e di petto il Cavaliere. Ed è questo che ha fatto il leader della Lega quando ha scelto di aprire i cancelli del Carroccio ai transfughi azzurri. Uno sfregio che difficilmente Berlusconi dimenticherà, anche e soprattutto per la genesi della vicenda. Sono almeno sei mesi, infatti, che Salvini ha tra le mani una lista di 14 parlamentari azzurri che sono pronti a fare il salto della quaglia. Giovedì, per mandare un pizzino al Cav, ha deciso di alzare il telefono e chiamarne tre: Maurizio Carrara, Laura Ravetto e Federica Zanella. «Volte venire? È arrivato il momento, accomodatevi. Adesso o mai più», ha fatto sapere Matteo. Che tra i «prescelti» ha voluto ci fosse anche l'ex sottosegretario per i Rapporti con il Parlamento, uno dei volti noti del berlusconismo, proprio perché il segnale fosse il più chiaro possibile. Così è stato, anche perché il passaggio dei tre ha avuto una ricaduta esclusivamente mediatica, visto che alla Camera non esiste un tema di numeri (come sarebbe stato invece al Senato).
Una reazione di pancia, quella di Salvini. Infastidito dai rumors su una Forza Italia disponibile a dialogare con la maggioranza sulla legge di bilancio, sul tema Covid e sulle nomine. Così il leader della Lega ha deciso per la prova di forza, per «mettere in chiaro chi è comanda nel centrodestra» (così si sarebbe sfogato con un big azzurro). In verità, come ha fatto osservare Giorgia Meloni ad alcuni dei deputati di Fratelli d'Italia con cui è più in sintonia, «Matteo ha fatto una sciocchezza». Perché ha violato una regola non scritta per cui tra alleati non ci si ruba i parlamentari. Un singolo passaggio di casacca può esserci, è l'eccezione che conferma la regola. Tre in un giorno sono evidentemente un atto ostile. D'altra parte, pure la Meloni ha da tempo sul tavolo una lista simile a quella di Salvini (e i nomi degli azzurri a disposizione sono per buona parte gli stessi) ma si è ben guardata dall'aprire le porte di FdI a una simile operazione.
Che oltre a mettere nero su bianco quanto sia stata impulsiva la reazione di Salvini, di fatto rischia di diventare per il leader della Lega una sorta di «lettera di dimissioni» dal ruolo - da lui molto agognato - di leader del centrodestra. Il capo di una coalizione media, unisce e tiene insieme le diverse esigenze. «Concavo e convesso» avrebbe detto Berlusconi. Il comportamento di Salvini è invece stato ostile, scomposto e irascibile. Ieri si è provato a mettere la polvere sotto il tappeto, ma di qui ai prossimi mesi è difficile che Berlusconi dimentichi davvero l'accaduto (non è un caso che i due, nonostante i tentativi dei pontieri, non si siano ancora parlati).
Come non lo scorderà la Meloni, che - pur non essendo stata coinvolta direttamente nello scontro - ha avuto la conferma di tutte le sue perplessità sull'approccio poco inclusivo di un Salvini con cui ormai non si prende da molto tempo.
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