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E Tria rivela il ricatto: "Il bail-in imposto dalla Germania a Letta"

Il ministro dell'Economia chiama in causa Saccomanni poi fa retromarcia: io frainteso

E Tria rivela il ricatto: "Il bail-in imposto dalla Germania a Letta"

Il ministro dell'Economia Giovanni Tria ha lanciato la bomba ieri pomeriggio davanti alla Commissione Finanze del Senato dopo aver riferito sugli esiti dell'Ecofin: quando vennero introdotte le nuove regole europee sul bail-in in Italia «era ministro Fabrizio Saccomanni che venne praticamente ricattato dal ministro delle Finanze tedesco», Wolfgang Schaeuble. Il quale avrebbe detto che «se l'Italia non avesse accettato, si sarebbe diffusa la notizia che l'Italia non accettava perché aveva il sistema bancario prossimo al fallimento e questo avrebbe significato il fallimento del sistema bancario».

L'affondo di Tria contro Berlino è partito quando il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, ha definito quella sul bail-in una norma desueta che va abrogata. «Condivido il fatto che dovrebbe essere abolito», ha spiegato Tria sottolineando che «quando è stato introdotto in Italia fossero quasi tutti contrari, anche la Banca d'Italia in modo discreto si oppose». In sostanza, dice Tria, l'Italia ha accettato le regole Ue sul salvataggio interno delle banche in crisi perché sotto ricatto della Germania. La minaccia era quella di diffondere la notizia, e quindi il panico sui mercati, di un sistema bancario italiano prossimo al «fallimento». E il falco tedesco Schaeuble avrebbe ricattato il suo omologo italiano durante il governo Letta, appunto Saccomanni.

In serata il Mef è corso ai ripari: «Con un'espressione evocativa ma infelice» il ministro dell'Economia Giovanni Tria in Senato «ha voluto fare riferimento a una situazione oggettiva in cui un rifiuto isolato dell'Italia di approdare la legislazione europea sul bail-in avrebbe potuto essere facilmente interpretato come un segnale dell'esistenza di seri rischi nel sistema bancario italiano. Con questo il ministro non intendeva certamente lanciare un'accusa specifica né alla Germania né al ministro delle Finanze tedesco dell'epoca», si legge in una nota.

In realtà quella di Tria è la sintesi un po' tirata di ciò che Saccomanni ricostruì davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche della scorsa legislatura. Basta riprendere il resoconto stenografico dell'intervento fatto dall'ex ministro, oggi presidente di Unicredit, nella seduta del 21 dicembre del 2017. Quel giorno al quarto piano di Palazzo San Macuto era stato ascoltato anche un altro ex del Tesoro, ovvero Vittorio Grilli. Da entrambe le ricostruzioni era emerso che la posizione delle autorità italiana era stata fin dall'inizio a favore del bail-in applicabile solo sulle specifiche passività degli istituti e non su quello «allargato» che poi è stato adottato dalla direttiva Ue. Saccomanni aveva ricordato che «il negoziato si è svolto in condizioni di urgenza, si doveva chiudere l'unione bancaria entro fine 2013 perché il Parlamento concludeva il mandato», e un fallimento rischiava di riattivare la crisi del debito sovrano. L'Italia, aveva spiegato l'ex ministro, è rimasta «in netta minoranza in una votazione che si svolse a maggioranza e quindi non era possibile lo strumento del veto». «Fra gli investitori e il mercato era seguita con grande attenzione la negoziazione sull'Unione bancaria, che doveva spezzare il circolo vizioso fra rischi bancari e sovrani», e quindi un fallimento avrebbe portato conseguenze negative.

Ma quali fattori pesarono sulle negoziazioni del 2013? Per Saccomanni, «la linea severa di coinvolgimento dei creditori delle banche» adottata da moltri paesi europei, in primis il gruppo «capeggiato dalla Germania» fu dovuta all'alto debito pubblico che caratterizzava l'Italia, Verso il nostro Paese «c'era una posizione come quella vissuta da De Gasperi dopo la guerra, di solo personale rispetto verso chi era lì. Privatamente - aveva aggiunto Saccomanni - si riconosceva la validità delle nostre argomentazioni» ma poi in votazione l'Italia finì in minoranza, visto che anche diversi altri Paesi come Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna avevano ricevuto aiuti europei.

Si temeva, queste le parole dell'ex ministro, che «nel lungo periodo forme di condivisione dei rischi fossero potenzialmente devastanti visto che l'Italia ha il terzo debito pubblico del mondo e l'impressione era che l'Italia potesse essere un rischio dirompente».

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