Mutui più cari perché le banche scaricano sui clienti il rischio Paese. È di pochi giorni fa la notizia che gli italiani scelgono quasi sempre il tasso fisso quando si tratta di acquistare un'abitazione chiedendo un prestito in banca.
Precauzione dettata da timori sul futuro che però rischia di diventare sempre più inutile visto che i tassi continuano ad aumentare.
In ottobre secondo Bankitalia i tassi di interesse sui prestiti per l'acquisto di abitazioni, comprensivi delle spese accessorie, sono stati pari al 2,24%, in aumento dal 2,16% di settembre. Aumenti anche per le nuove erogazioni di credito al consumo, per i tassi dei nuovi prestiti alle società non finanziarie passati all'1,52 per cento % dall'1,45 per cento di settembre.
Una anomalia tutta italiana visto che nel resto dell'Europa i tassi sono fermi e che la stessa Bce continua a rinviare l'atteso aumento dei suoi tassi.
Il rincaro è la conferma degli allarmi lanciati in questi mesi sugli effetti dell'instabilità politica sulle finanze delle famiglie italiane. L'aumento dello spread tra Btp e Bund comporta un maggior costo di approvvigionamento del denaro per le banche, che in alcuni casi si rifanno sui clienti.
Prestiti più cari, quindi, in particolare i mutui a tasso fisso, anche se gli indici europei Euribor sono sostanzialmente fermi.
La scelta di aumentare il costo dei mutui è tutta commerciale, ma ha effetti concreti. Le banche possono decidere di aumentare il loro spread, cioè la differenza tra la rata finale e l'Euribor per fare fronte al maggiore costo del denaro e anche per prezzare un maggior rischio del credito.
Il rincaro ricade solo i nuovi mutui, sia a tasso fisso sia variabile. Nessun aumento per i mutui in essere.
Non rischiano nemmeno quelli a tasso variabile visto che i tassi di riferimento (principalmente Euribor e Bce) non dipendono dall'andamento dello spread Btp e Bund, mentre la quota applicata dalla banca non può cambiare.
«La colpa dell'aumento degli interessi - ha commentato Renato Brunetta di Forza Italia - è esclusivamente da imputare all'aumento dei rendimenti sui titoli di Stato e all'aumentata percezione del rischio Italia, incorporato immediatamente nei tassi. Uno dei tanti effetti collaterali della disastrosa, quanto inutile, battaglia avviata da questo governo contro istituzioni europee e mercati finanziari».
L'esponente azzurro torna a lanciare l'allarme sulla stretta del credito. Secondo il rapporto della Banca d'Italia pubblicato su Banca e Moneta, a ottobre i prestiti al settore privato, sono cresciuti del 2,7 per cento su base annua (2,9 per cento in settembre).
Un rallentamento che secondo Brunetta è da interpretare come un inizio del cosiddetto credit crunch, la conferma della
«stretta creditizia fatta dagli istituti di credito per effetto del peggioramento delle condizioni monetarie nell'economia».Uno scenario «che il governo ha sempre negato, è invece peggiorato nell'ultimo mese», attacca Brunetta.
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