Adesso arrivano gli americani. Il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, ha annunciato a Repubblica la necessità di «un piano da 70-80 miliardi di euro, una sorta di “Piano Marshall” che partirà proprio dalle infrastrutture» per creare posti di lavoro e rilanciare il Meridione, diventato da un giorno all'altro il centro di gravità per il premier Matteo Renzi, intristitosi dopo la pubblicazione del rapporto Svimez.
È una cifra ingente che altre aree del Paese possono solo sognare. Ma la domanda da porsi, in primo luogo, è un'altra. Ce n'è veramente bisogno? Ovviamente, il primo impulso è quello di rispondere affermativamente considerato che il Sud rappresenta solo il 34% della spesa per investimenti del nostro Paese a fronte di un obiettivo comunitario fissato al 45 per cento. Negli ultimi 40 anni gli investimenti in opere pubbliche sono dimezzati. E al Sud valgono poco più di un quinto rispetto agli anni settanta. Ce lo dice lo Svimez che però non ci ha ricordato un'altra evenienza. Dal 1951 al 2013 le Regioni meridionali hanno ricevuto circa 430 miliardi di interventi straordinari destinati a finanziare la spesa in conto capitale, cioè gli investimenti, le infrastrutture. In particolare, 390 miliardi sono relativi al periodo 1951-2009, mentre negli altri 4 anni i fondi europei e il cofinanziamento dello Stato dovrebbero aver raggiunto almeno i 45 miliardi di impegni totali.
Ora bisognerebbe chiedersi chi sia il responsabile di questo fallimento. Ha fallito la Cassa per il Mezzogiorno con i suoi interventi mirati ma inutili (le famose cattedrali nel deserto come l'Italsider di Taranto e di Bagnoli, l'Alfasud di Pomigliano, il petrolchimico di Gela e la Fiat di Termini Imerese). Ha fallito la legge 488 del 1992 che, dopo la chiusura della Cassa, ha garantito i microfinanziamenti a pioggia per qualsiasi iniziativa imprenditoriale. Hanno fallito i fondi europei che le Regioni spesso non sono state in grado di spendere o hanno impiegato per iniziative di dubbia efficacia come i famigerati corsi di formazione.
Insomma, se un flusso costante di una decina di miliardi di euro all'anno destinati agli investimenti, ha prodotto il 20,5% di disoccupazione totale e il 56% di disoccupazione giovanile, qualche dubbio sull'efficacia di un nuovo piano da 70-80 miliardi è legittimo, al di là degli effetti negativi della riprogrammazione dei Fondi Fas, decisa nel 2008.
Anche perché c'è un altro lato della medaglia. Il residuo fiscale del Sud è negativo per 30 miliardi circa, cioè riceve dai contribuenti del resto d'Italia più di quanto riesca a finanziarsi. Dei 100 miliardi che devolve il Nord, 70 miliardi se li pappa lo Stato centrale, ma sono sempre un contributo notevole. Il problema, forse, è la spesa corrente improduttiva. Se si guardano i dati dei Comuni si nota che Palermo (714 euro per cittadino), Bari, Catania e Messina sono le città che ricevono maggiori contributi pubblici (da Stato, Regioni, ecc.) pro capite. Sono 33 anni che i forestali della Regione Calabria ottengono che i loro stipendi siano pagati per oltre 100 milioni dalla legge di bilancio nazionale. Fanno oltre 3,5 miliardi di euro. Il Mezzogiorno resta il «malato d'Europa» come diceva dieci anni fa Nicola Rossi. Cresce meno di Romania e Bulgaria, persino della Grecia nonostante tutto il fiume di denaro che ha ricevuto.
Per altro, il piano preannunciato dal ministro Guidi va in direzione opposta a quelle che erano le convinzioni del professor Roberto Perotti, oggi consulente di Renzi, un tempo favorevole alla rinuncia ai fondi europei (che vanno cofinanziati dallo Stato) in favore di una riduzione generalizzata delle tasse. Ma, si sa, i tempi cambiano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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