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"Ecco il vero scopo ideologico dietro il ddl Zan"

Il politologo Alessandro Campi critico su due articoli del disegno di legge: "È mancato un dibattito civile"

"Ecco il vero scopo ideologico dietro il ddl Zan"

Passaggi normativi che suscitano "perplessità", finalità "politico-culturali" altre rispetto alla semplice lotta alle discriminazioni, la possibilità che si profili uno "Stato educatore" in stile totalitario. Mentre i media sono invasi dalle polemiche sulle performance di Fedez, e in Parlamento si prepara la battaglia politica, siamo davvero sicuri di aver compreso fino in fondo il ddl Zan di cui tutti parlano? Per Alessandro Campi, professore ordinario di Scienza Politica al Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Perugia, bisognerebbe instaurare un "utile e civile" dibattito sul tema. Sempre che non sia troppo tardi.

Professore, lei ha esortato ad aprire una discussione seria sul ddl Zan. Significa che fino ad oggi non c'è stata? Perché?
"Che un simile dibattito sia mancato lo dimostrano la cagnara sulle parole di Fedez, le uscite scomposte di alcuni avversari politici della legge o il fatto che molti suoi sostenitori, senza nulla argomentare, si siano limitati a farsi fotografare con la mano aperta con su scritto DDL ZAN. Ci sono stati nel tempo interventi meditati, pro o contro la legge, ma sono stati risucchiati dalle opposte propagande o dalle esigenze della politica spettacolo. Il perché di questa situazione dipende da molti fattori: da un lato, la centralità crescente dei social, che non sono uno strumento adatto al confronto dialettico, semmai alla polarizzazione e semplificazioni dei giudizi; dall’altro un mondo politico che a sua volta si è disabituato alla discussione, magari aspra, ma civile e basato su argomenti, non su insulti. Mettiamoci infine un sistema della comunicazione che si limita ormai a giocare sulle emozioni e sulle passioni elementari".

Perché è scettico sul ddl Zan?
"Partendo da buone intenzioni, la lotta alle discriminazioni basate sul sesso e sull’orientamento sessuale, le svolge male (cioè in modo contradditorio) sul piano normativo. Nel nostro ordinamento – dall’art. 3 della Costituzione alla mitica legge 194 che regola l’aborto – i diritti sono riconosciuti in base al sesso, non in base al genere: basta già solo questo per determinare potenziali cortocircuiti normativi.

Soprattutto è una legge che, sotto le buone intenzioni dichiarate, persegue finalità politico-culturali sulle quali i suoi sostenitori tendono a sorvolare, pur sapendo che esse rappresentano la vera posta in gioco. Mi riferisco all’idea, che attraversa l’intera legge e ne costituisce, per così dire, il cuore ideologico, secondo la quale i tempi sarebbero maturi – sul piano del costume – per lasciarsi alle spalle le differenze tra i sessi naturalisticamente definite a favore delle identità sessuali e di genere soggettivamente percepite e autocertificate. Quello che si prospetta è un vero e proprio cambiamento di paradigma storico-antropologico. Esso probabilmente risponde allo ‘spirito dei tempi’, oltre a rappresentare – come alcuni sostengono – un avanzamento sul piano dei valori e della civiltà. L’importante però è giocare a carte scoperte invece di fare finta che l’obiettivo sia solo la lotta alle discriminazioni. Non è solo una questione di libertà individuali, come si dice, ma di visione della società, di modelli valoriali e di forme culturali. Il che giustifica lo scontro politico di queste ore, purché – ripeto – non ci si riduca a insultarsi".

Lei in particolare ritiene controversi due articoli (1 e 4) del disegno di legge. Iniziamo dal primo? Quali sono le problematiche?
"L’articolo 1 offre una definizione assertiva di cosa debba intendersi per sesso, per genere, per orientamento sessuale e per identità di genere. Questioni di grande rilevanza etico-filosofica (stiamo parlando di cosa debba intendersi per natura umana) vengono risolte in poche righe dal sovrano-legislatore. Hobbes diceva, del suo Stato-Leviatano, che esercitando una volontà piena e assoluta può fare tutto, tranne trasformare l’uomo in donna. Il Parlamento italiano, per dirla ironicamente, si è dato anche questo potere: di definire lo statuto legale e antropologico degli esseri umani".

C'è chi denuncia l'ambiguità della definizione di "identità di genere" che aprirebbe le porte all'auto percezione di sé. Con implicazioni, solo per fare un esempio, in campo sportivo: uomini che si sentono donne e che chiedono di gareggiare nei tornei femminili. È un rischio concreto?
"In realtà casi del genere si sono già verificati. Le uniche che hanno avuto su questo punto parole sagge di denuncia sono state le femministe. Anche in questo caso l’idea guida, che questo disegno di legge a sua volta riflette, è che un desiderio soggettivo debba per forza configurare un diritto oggettivo come tale tutelato dall’ordinamento. Ma così non si crea una società migliore, semplicemente si pongono le premesse per la sua progressiva dissoluzione".

Passiamo all'articolo 4. Quali critiche solleva?
"Quando ci si è resi conto – sulla base delle perplessità e delle critiche avanzate a suo tempo durante le discussioni svoltesi all’interno Commissione Affari Costituzionali – del rischio che semplici opinioni individuali potessero trasformarsi in reati (sub specie di istigazione all’odio) si è introdotta nel testo della legge una bizzarra clausola di salvaguardia che altro non fa che reiterare quel che si trova scritto nell’art. 21 della Costituzione. E cioè che la libera manifestazione del pensiero, in ogni forma, non può essere in alcun modo limitato. Perché in una legge si è sentito il bisogno di ribadire quel che si trova scritto in forma solenne nella nostra Carta fondamentale? Ancor più grave è che in quest’articolo, nel ribadire l’ovvio, si sia introdotto (a questo punto non so nemmeno quanto involontariamente) un inciso a dir poco ambiguo. Nel senso che sono ammesse, si legge, tutte le idee ed opinioni “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Ma chi decide quando idee ed opinioni liberamente espresse possono determinare un concreto ed effettivo pericolo? Ci vuole poco a capire quali margini di discrezionalità, con una magistratura politicizzata in molte sue frange come quella italiana, lascia aperta una simile formulazione.

Aggiungo un argomento logico: un’opinione espressa a titolo individuale non può mai essere discriminatoria nei confronti di una minoranza nella misura in cui un individuo che esprime un’opinione è esso stesso, in quando singolo, una minoranza per così dire assoluta. Qui si parte dall’assunto che un’opinione individuale, che una qualunque minoranza ritenga offensiva o discriminatoria nei suoi confronti, sia tale in quanto rifletto di un sentimento collettivo maggioritario. Ma non funziona così".

Non sono esagerati i cattolici nel ritenere che il ddl finirà col limitare la libertà di espressione e punirà anche chi sostiene, ad esempio, che i bambini debbano avere un papà e una mamma?
"Si rischia di fare tutti la fine di J.K. Rowling, l’autrice della saga di Harry Potter. Per lei, femminista storica, sono donne solo 'le persone che hanno le mestruazioni'. Per queste parole, come si sa è stata massacrata sui social e accusata di essere 'transfobica'. Ma la sua, mi chiedo, è un’opinione, come tale contestabile e discutibile, o una posizione discriminatoria che merita di essere perseguita in quanto istigatrice potenziale di comportamenti e azioni lesive dei diritti di minoranze? Esiste un’identità femminile legata al fatto di essere biologicamente donna: nel prossimo futuro una femminista potrà ancora sostenere un simile convincimento? Quanto ai cattolici, presto sarà necessaria una legge anche a loro difesa. In quanto minoranza. E in quanto minoranza discriminata".

Alcuni ritengono che il ddl Zan spianerà la strada all'ideologia gender e all'indottrinamento dei bambini nelle scuole. I promotori replicano che il gender non esiste. Come se ne esce?
"La legge include un disegno pedagogico, gestito dallo Stato, ben preciso. Si parla della creazione, ogni 17 maggio, della Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia e del ruolo attivo che, nei processi tesi a favorire l’inclusione e le pratiche non discriminatorie, debbono svolgere le scuole. Qui si apre, secondo me, un duplice problema: da un lato, quello relativo all’utilità dell’ennesima Giornata su questo e su quello, secondo un modello pedagogico dall’alto che in prospettiva rischia persino si essere controproducente rispetto agli obiettivi perseguiti; dall’altro, l’opportunità, in senso appunto pedagogico, di affrontare certe tematiche in un’età nella quale si è per definizione psicologicamente vulnerabili. Lo Stato-educatore è un modello totalitario".

Il ddl Zan è una legge che serve al Paese? E servirà davvero a tutelare gli omosessuali e a combattere l'omofobia?
"Al momento sembra aver soltanto prodotto divisioni politiche e discussioni pregiudiziali. Se l’obiettivo era davvero applicare – aggiungo giustamente – all’omofobia i reati e le sanzioni previste dal decreto Mancino del 1993 sulle discriminazioni razziali sarebbe stato forse sufficiente ampliare quest’ultimo. La legislazione italiana non mi sembra carente nella tutela delle minoranze e nel perseguimento dei cosiddetti reati d’odio. Si rischia su questo versante l’ipertrofia normativa. Ma evidentemente, come ho detto, gli obiettivi erano altri".

L'Italia è un Paese in emergenza omofobia?
"I dati, peraltro poco affidabili e di difficile interpretazione, non sembrano avallare l’esistenza nel nostro Paese di una sorta di caccia al 'diverso' per ragioni sessuali. Nel nostro Paese esiste, presso il Ministero dell’Interno, l’Oscad (l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), sulla cui pagina ufficiale ci si premura di precisare, innanzitutto, che la segnalazione di un atto discriminatorio non equivale affatto alla denuncia di una reato o al fatto che un reato sia stato effettivamente commesso. Secondariamente, viene chiarito che le segnalazioni ricevute da quest’organismo espressamente dedicato al fenomeno dei crimini d’odio non consentono alcuna esatta rilevazione statistica, dal momento che il numero delle segnalazioni che ad esso arrivano è inevitabilmente influenzato dalla sensibilità soggettiva di chi fa la segnalazione (ciò che a me pare offensivo e discriminatorio per altri potrebbe non esserlo) e, soprattutto, dai risvolti mediatici (e ahimè propagandistici) che alcuni episodi talvolta assumono".

Quindi?
"Il che è come ammettere che il fatto che sui mezzi d’informazione talvolta si parli tanto di intolleranza, di odio, di discriminazione a partire da un singolo episodio di cronaca non vuol dire che esista un clima sociale nel segno dell’intolleranza. Se si accusa Salvini si speculare su un’invasione degli immigrati che non esiste, si può anche criticare chi descrive un’Italia oscurantista e violenta che a sua volta non esiste. Semmai, ci si dovrebbe interrogare su quanto una mentalità discriminatoria e lesiva delle libertà individuali (a partire da quelle legate all’identità sessuale) sia diffusa all’interno delle comunità d’immigrati presenti nel nostro Paese. Te la raccomando la tolleranza dei musulmani nei confronti di gay e transgender! Ma l’argomento è spinoso e si preferisce non affrontarlo: meglio prendersela con qualche trinariciuto leghista.

Ciò detto, preciso anche che – da una prospettiva autenticamente liberale e tollerante – il fatto che anche una sola persona su sessanta milioni venga fatta oggetto di discriminazione per ragioni sessuali, religiose o etnico-razziali basta e avanza per considerare la cosa grave meritevole di censura e di una sanzione.

Non è il numero che fa la qualità di una società, ma la difesa sacrosanta dei principi".

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