Bere per dimenticare sembra un metodo del passato, valido al tempo dei vecchi avvinazzati e delle vecchie osterie, ma adesso un libro lo rilancia posizionandolo molto più in alto socialmente: «Vini, amori» di Camilla Baresani e Gelasio Gaetani d'Aragona (Bompiani). Ci vuole del coraggio, in quest'epoca di etilometri, sobrietà, magrezza, efficienza fisica, per scrivere un elogio del bere molto. Eppure i due autori lo fanno, però senza teorizzarlo troppo, con molta naturalezza. «Ho aperto una bottiglia ed è capitato che l'ho bevuta tutta» dice la scrittrice bresciana. «Con un buon vino penso con serenità ai drammi amorosi e ai disastri finanziari e poi salgo in camera a dormire beato» racconta il patrizio romano. Con simili affermazioni faranno imbufalire i puritani, i neo-proibizionisti e magari anche i sommelier che negli ultimi vent'anni hanno imposto una visione del vino tutta apollinea e niente dionisiaca, basata sull'olfatto e censurante la componente alcolica. Come se il vino fosse fatto per essere annusato e non bevuto. «Beviamo Chardonnay siciliano dalla gradazione piuttosto alta. Meglio!» scrivono invece i nostri due meravigliosi impuniti in questi brevi racconti sentimentali. Quelli firmati da Camilla partono da un amore per arrivare a una bottiglia, quelli firmati da Gelasio da una bottiglia per arrivare, non sempre ma spesso, a un amore, e mentre lei non fa nomi a lui invece scappano anche i cognomi, di norma molteplici o comunque legati a coronate etichette, a celebri tenute. Un assaggio della prosa gelasiana: «Correva l'anno 1976, mi piaceva Fiammetta de' Frescobaldi e per poterla corteggiare mi iscrissi ad Agraria (alle Cascine). Lei non mi filò più di tanto ma a Firenze incontrai Tessa Capponi (oggi sposata a un principe polacco). A Palazzo Capponi Tessa mi offriva i suoi vini...». Non c'è da stupirsi che Gaetani d'Aragona abbia poi ricevuto il Premio Casanova, e proprio nel castello goriziano dove soggiornò il leggendario seduttore. Pure lui, come sa chi abbia letto le «Memorie», tutt'altro che astemio. Ecco, gli astemi questo libro dovrebbero lasciarlo perdere, dispiace per loro ma non potrebbero capirlo. Perché in « Vini, amori » il concetto di continenza non è previsto, quello di modica quantità nemmeno. Ogni occasione è buona per sbicchierare generosamente. «Per festeggiare il nostro incontro abbiamo aperto una magnum, e non ho dubbi che arriveremo sino alla fine»: qui Camilla racconta l'appuntamento con un ex fidanzato però di solito beve non per ritornare ai tempi andati bensì per seppellirli definitivamente. Gocciola in queste pagine una malinconia fitzgeraldiana, un'aria da fine vacanza, da fine estate, da fine amori, da fine giovinezza, da fine soldi (la penuria avanza per chi abbonda di cognomi). «Il vino allontana i cattivi pensieri». Giusto. «Gelasio mi ha ricordato che beviamo tutti anche per dimenticare». Certo. «Il vino è uno stato d'animo in cui si vuole fluttuare. L'intento è trovare quel meraviglioso benessere fatto di pacificazione, acume, capacità di unirsi alla conversazione». Perfetto. In tempo di crisi il metodo Baresani-Gaetani appare quanto mai ragionevole e quasi universalmente praticabile. Bere molto e con molto stile (buon vino, bei bicchieri, raffinata musica di sottofondo...) per scordarsi i dispiaceri costa meno che fare vacanze vip o comprare borse griffate ed è anche una buona occasione per ripassare la storia e la geografia, visto che dietro ogni etichetta c'è una casata o un angolo prezioso di Bel Paese.
Un metodo che, si badi, non è per nulla irresponsabile come potrebbe sembrare ai più arcigni. Anche Platone, che non era precisamente un lassista, risulta dello stesso avviso. In un suo dialogo, «Leggi», consente l'ubriachezza agli ultraquarantenni considerando il vino «il rimedio contro i malumori della vecchiaia» (che allora cominciava appunto a quarant'anni) «per mezzo del quale possiamo dimenticare la nostra disperazione». Proibendola invece ai giovani «perché non è bene aggiungere fuoco al fuoco». Camilla e Gelasio non sono più ragazzi, lo ripetono spesso, e sono pertanto autorizzati anche dalla grande filosofia a consolarsi con l'enologia, e a consigliare i propri coetanei di fare altrettanto.
A cinquanta o sessant'anni se bevi un bicchiere di troppo non ti metti a fare le gare in automobile, se invece di anni ne hai venti e hai appena scolato una vasca di sprizt o di mojito ecco che sei un soggetto socialmente pericoloso. Ma non c'è nessun bisogno di proibire «Vini, amori» ai minori di anni 40: i giovani spritzomani i libri non li leggono.
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