Il made in Italy vacilla. Un'azienda italiana su dieci è a rischio fallimento, almeno nel caso in cui l'emergenza coronavirus non si arrestasse entro l'anno. Insomma, parte del sistema-Paese è malato e la sua ripresa dipende dall'intensità delle cure che, se inadatte, potrebbero rivelarsi insufficienti e portare così al default. Prime della lista sarebbero le pmi che appartengono a tre settori chiave: il manifatturiero tessile, i trasporti e il turismo. Lo scenario emerge dallo studio «L'impatto del coronavirus sulle società industriali italiane» di Cerved Rating Agency, agenzia di valutazione del gruppo Cerved che attribuisce alle imprese sul territorio nazionale il merito creditizio (una sorta di pagellino di solidità economica).
D'altra parte, gli effetti concreti sono già sotto i nostri occhi e si chiamano rallentamento della produzione, chiusure temporanee forzate, calo dei margini. Inoltre, l'epidemia, e soprattutto le misure adottate per contenerla, causeranno nel breve termine un minor Pil compreso tra i 9 miliardi e i 27 miliardi, a seconda delle ipotesi adottate sull'entità delle perdite (e dei guadagni) nei diversi settori. La flessione per l'intera economia invece va da un -1% a un -3 per cento.
Questo perché a essere «malata» è quella parte d'Italia che traina l'intero paese: Lombardia e Veneto contano da sole per il 31% del Pil italiano.
In questo quadro, nel caso più favorevole, si prevede che la crisi sanitaria possa perdurare fino a metà anno, con un'eco non trascurabile sulla solidità finanziaria delle nostre aziende, già investite dalla crisi. Nel caso più sfavorevole, invece, si delinea l'ipotesi, non poi così remota, del dilagare della pandemia, con effetti globali duraturi e deleteri fino alla fine dell'anno.
Entrambi gli scenari sono stati applicati al portafoglio di simulazione, costituito da circa 25mila rating emessi recentemente da Cerved Rating Agency e sufficientemente rappresentativi del comparto delle aziende italiane.
In base alla gravità dello scenario, e stimando alle condizioni attuali una probabilità di default pari al 4,9% come valore medio, si sale, nell'ipotesi soft, al 6,8% (con variazione per settore tra il 2,7% e il 10,6%), mentre nello scenario hard la probabilità di default media stimata nell'intervallo considerato arriva al 10,4%, con variazione per settore tra il 7,5% e il 15,4 per cento.
Tra i malati più gravi ci sarebbero le imprese legate al turismo e le aziende del comparto manifatturiero che presentano interconnessioni maggiori con la Cina, soprattutto per l'import delle materie prime.
Nel contesto delle imprese valutate costituiscono, invece, un discorso a parte le aziende del settore farmaceutico, sia per la
produzione sia per il commercio al dettaglio di medicinali, per le quali è ragionevole attendersi un miglioramento della marginalità e una riduzione moderata dei profili di rischio. Ma questo settore resta la classica eccezione.
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